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Lilith - La dea dell'amore

Regia di Robert Rossen vedi scheda film

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La recensione su Lilith - La dea dell'amore

di Baliverna
10 stelle

Denso e complesso questo ultimo film del grande Rossen, che ho sentito essere stato perseguitato dal maccartismo, ma nei cui film non ho mai visto traccia di ideologia politica. Ci ho visto “solo” molto interessanti discorsi morali. Il tema di questo grande film - con un sciocco titolo italiano - mi sembra essere come la passione possa far perdere il lume dell'intelletto ad una persona altrimenti assennata, e la possa portare alla distruzione di sé e di chi gli sta attorno. La passione attecchisce nel bravo Warren Beatty, introverso e taciturno, su una situazione precedente di insoddisfazione anche sentimentale, che è poi la ragione stessa che lo porta a cercar lavoro nella clinica. Accecato dalla bellezza della ragazza, inizia a nutrire avventate speranze di una rapida e completa guarigione di questa, e non tiene più conto dei numerosi colpi di testa della giovane, e quindi della sua inaffidabilità. Infatti già l'episodio del pennello, che denota una donna capricciosa e vanitosa, è un inascoltato campanello d'allarme. Davvero superba l'interpretazione di Jean Seberg, qui finalmente coi capelli lunghi (i quali non la fanno meno bella), che riesce a rendere il suo personaggio di pazza, di volubile e lunatica, in certi momenti sottilmente sadica. La sua pazzia è però spesso nascosta, può essere osservata solo in un certo lasso di tempo, vedendo a come reagisce alle varie situazioni. E' questo che frega il neo assistente, che si illude che sia guarita solo per la buona riuscita di una passeggiata nei prati. Poi il percorso per lui va verso la rovina: passione incontenibile, divorante gelosia, abbassamento di tutti gli scrupoli morali pur di raggiungere l'oggetto delle sue brame. Emblematico il suo “Salvatemi” finale. Non è certo la prima storia – nel cinema e nella realtà – di uno che si innamora di una psicolabile e finisce per venirne distrutto. Rossen la narra con grande sensibilità e delicatezza, prediligendo i toni mesti, fuggendo dalla fretta e dal ritmo veloce e superficiale. Il regista suggerisce che molti di quelli che si trovano in quel manicomio per ricchi sono persone ferite dalla vita, da disgrazie ma anche errori propri, che non sono stati in grado di far fronte al trauma e venirne fuori. Alcuni, come il ragazzo innamorato, non sono neppure pazzi, ma forse solo troppo emotivi e fragili. Bella la fotografia in bianco e nero. Mi pare uno di quei film che bisogna vedere più di una volta per scorgerne tutti i pregi. Provvederò. Col DVD, perché non sperate di vederlo in televisione.

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