Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Una storia di convivenza tra gente di varie nazionalità, che mostra come "tutto il mondo sia paese": le diversità linguistiche e culturali non contano, perché i mali che affliggono l'umanità sono sempre e comunque gli stessi, ossia la rivalità e l'infelicità nei sentimenti. La Babele evocata nel prologo del film non è, difatti, superata dal generale innalzamento al regno dei cieli, bensì dall'universale condivisione dell'inferno terrestre. È una primitiva koinè del dolore e della rabbia ad accomunare i popoli e spianare le barriere etniche. Il racconto è basato su un classico intreccio da mélo borghese, con tanto di questioni d'onore e di denaro, al quale il trasferimento nell'ambientazione campestre conferisce, però, i toni duri del realismo. Rispettando i canoni del naturalismo letterario, le figure femminili sono vittime, ma forti di carattere, mentre gli uomini sono suddivisi in tipi: Albert il rude, Gabi il vigliacco, Fernand il saggio, Toni il romantico. E come nel romanzo "La bête humaine" di Zola (da cui lo stesso Jean Renoir trarrà un omonimo film quattro anni più tardi), le strutture sinistre e mostruose della ferrovia, e l'andirivieni dei treni alla stazione (non più metropolitana, ma di frontiera, e di emigranti) fanno da rumoroso ed indifferente sfondo al sommesso lavorio delle tragedie individuali. Una pregevolissima testimonianza cinematografica della visione novecentesca del destino del singolo come destino di tutti, in un'opera piana e calibrata, del tutto estranea, nella forma e nel contenuto, agli acuti della retorica e agli strilli del patetismo.
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