Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Nè un dramma, nè una commedia perchè non si vuole dimostrare nulla, inoltre mancano del tutto i risvolti morali o un esempio da seguire per perseguire le virtù, come ci dice il burattino all'inizio del film quando ci presenta quella che sarà la storia ed i tre personaggi principali, che vengono presentati tramite sovraimpressioni di montaggio; tre persone come noi, non eroi o chissà cosa, ma "poveri come noi"; in sostanza Renoir sin dal programmatico inizio, mette in sccena la vita così com'è, senza troppe sovra-costruzioni artificiose. Legrand (Michel Simon) è un uomo attempato di 42 anni, un modesto impiegato di alta cultura ma dalla vita mediocre essendo vessato sul lavoro dai colleghi e nel privarto da una moglie dispotica; Lulù (Janie Marese) è una giovane prostituta sempre sincera e per questo mente sempre; Dedè invece è un semplice bellimbusto e basta senza altre qualità se non quella di sfruttare la ragazza per guadagnarci sopra.
La Cagna (1931) è il secondo film sonoro per Jean Renoir, che trae lo spunto da un lavoro teatrale; il film è un'analisi impietosa della meschinità della piccola-media borghesia incarnata perfettamente dall'insignificante Legrand, un uomo patetico schernito dai colleghi e che conduce una vita privata insoddisfacente per via di un rapporto logoro con la moglie Adelè, la quale rimpiange sempre il primo marito morto in guerra confrontato con la mediocrità di quello attuale. L'unica valvola di scopo per Legrand è la pittura, che gli consente privatamente di poter esprimere qualcosa dalla sua vita insignificante; una svolta sembra poter derivare dall'incontro con Nanà, una giovane prostituta con cui finisce per intrecciare una relazione sentimentale per poi innamorarsene sempre più, arrivando a spendere sempre più soldi per la donna, inconscio inizialmente che lo sta solamente sfruttando e basta, poichè Nanà vorrebbe avere una storia normale con il suo protettore Dedè. Renoir ha un buono sguardo sociale sul mondo e la società in cui viveva, così come un'estrema abilità registica e nella costruzione della messa in scena che fà della Cagna un film ancora oggi un film vedibile per certe soluzioni cinematografiche dirompenti.
Per smuovere una pellicola che data la sua derivazione teatrale sarebbe risultata troppo statica, il regista smuove la macchina da presa prediligendo punti di vista inediti quanto anomali, a cominciare dall'inizio in cui partendo la montacarichi, Renoir tramite un carrello inquadra i commensali ad una cena di lavoro, accentuando così tramite il dinamismo la solitudine e la pateticità dell'esistenza di Lagrand, scena che si ripete con un carrello laterale quando quest'ultimo entra nell'ufficio lavorativo e in sottofondo si sentono le chiacchiere maligne dei colleghi verso di lui. La condizione di Lagrand è comune anche a quella di altre persone che nell'arte cercano una possibilità di espressione personale, infatti mentre quest'ultimo dipinge, l'inquadrature ci mostra come enlla finestra di fronte all'appartamento dove abita l'uomo, c'è una ragazza che suona il pianoforte.
Certo, è anche un film abbastanza figlio comunque dei suoi tempi in altre cose e la teatralità si percepisce spesso nell'uso di scene autusufficienti in un unico posto o luogo, che si concludono con una dissolvenza in nero, così come una certa impostazione teatrale nella recitazione dei personaggi come quello interpretato da Janie Marese e nella chiusura delle singole sequenze che fà troppo da "chiudi il sipario".
Sfugge a tutto questo l'ottimo Michel Simon, abilissimo nella sua recitazione poco appariscente nel tono di voce e dei gesti nel raffigurare pateticamente la psicologia di questo essere meschino che seppur ritrova tramite l'immoralità una parvenza di vita, non può sfuggire alla sua vera natura borghese, il cui quallore viene messo a nudo nel confronto con Lulù; seppur accusato di misogenia il film e la prostituta venga definita cagna dall'uomo ad un certo punto, la condizione di Lagrand è solo e soltanto colpa sua.
Non c'è quindi alcun moralismo di fondo, la pellicola infatti è un impietoso ritratto di un certo spaccato sociale, ma con venature ironiche che affiorano specialmente nel finale che evita un qualsiasi buoni vs cattivi, lieto fine e sopratutto una legge che porti una vera giustizia che non si avrà mai; in sostanza scordatevi la Hollywood classica con il suo codice Hayes, il realismo poetico di Jean Renoir, non ha pretese moraliste nè di dare una parvenza di giustizia, ma solo di mostrare uno scavo psicologico nei personaggi alle prese con una vita beffarda, ingiusta e che non ripara alcun torto.
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