Regia di Jean Renoir vedi scheda film
«E il fiume che scorre e tutte le cose del mondo...
Corre il fiume e ruota il mondo.
Albe e tramonti, notti e meriggi,
e il sole che arde e il vento, la luna, le stelle...
Muore il giorno e la fine ha inizio.» (Poesia scritta da Harriet)
Il fiume è eterno scorrere, come una ruota che gira di continuo nel suo moto incessante e simbolo più puro e diretto atto a rappresentare il ciclo infinito della vita e della morte. La vita come la conosciamo non potrebbe esistere senza l'acqua e d'altronde grazie ad essa ha avuto origine; elemento della natura che diamo per scontato eppure preziosissmo "oro blu" nelle sue varie forme in cui si manifesta, come ad esempio quella di un fiume, ha permesso lungo le rive di quest'ultimo di sviluppare la civiltà umana e tutta la cultura che ne deriva, cominciando dagli scambi con le altre comunità sorte intorno ad esso, sfruttarlo come mezzo di trasporto e usarlo come fonte per abbeverarsi e da cui ottenere cibo ed infine tramite la tecnologia usare le sue acque per irrigare i campi.
L'acqua custodisce quindi la memoria della civiltà umana, i grandi fiumi del pianeta hanno visto scorrere numerose persone stabilirsi lungo le proprie rive ed il Gange nel subcontinente indiano, è un fiume di oltre 2500 km di lunghezza che ha origine dalle alte vette dell'Himalaya per poi sfociare nelle acque del golfo del Bengala, oltre metà della popolazione dell'India vive nella fertile e prospera pianura del Gange, che per gli Indù ha anche un culto religioso personificato dalla dea Ganga.
L'India ed i suoi misteri hanno esercitato un fascino magnetico su generazioni di artisti occidentali, il cinema quindi non poteva non interessarsene, d'altronde sia Pasolini che Rossellini ne furono enormemente attratti, cercando di entrare in sintonia con il paese durante i loro soggiorni; Jean Renoir non poteva quindi sottrarsi e rispetto ai due cineasti prima menzionati seppur tra varie traversie produttive, riesce ad ottenere un piccolo finanziamento per girare Il Fiume (1951), pellicola tratta dal romanzo di Rumer Godden, il regista dovette rinunciare al progetto originario di girarlo con attori famosi poichè ad Hollywood il suo nome era oramai sinonimo di insuccesso ai botteghini e beghe con la produzione per l'integrità artistica delle sue opere.
Attori professionisti si mescolano con quelli non professionisti, così come la narrativa si miscela insieme al documentario, ottenendo un film d'impronta marcatamente sperimentale, specie per l'uso studiato e meditato del Technicolor, adoperato per la prima volta da Renoir e segna anche la prima pellicola a colore girata in India. Un intero subcontinente misterioso c'è da scoprire sotto la patina di un triangolo amoroso narrato dalla voce fuori campo di Harriet come fosse un diario postumo, che funge da sostrato superficiale su cui vediamo le prime esperienze adolescenziali vissute da parte di tre giovani ragazze in età tra i 14-15 anni, impersonate da Harriet (Patricia Walters), Valerie (Adrienne Corri) e Melanie (Radha Siri Ram), nei confronti del capitano John, cugino americano di Melanie, che ha perso una gamba durante la seconda guerra mondiale e preda della depressione che lo affligge, spera di ritrovare in questi luoghi una serenità psicologica che gli consenta di capire il proprio posto nel mondo.
Le prime cotte e turbamenti adolescenziali, fungono da base per quello che è in tutto e per tutto un film di formazione; Harriet è in pieno sviluppo, il colore della sua veste è l'azzurro, simbolo di purezza virginale, è una ragazza sensibile e con una marcata inclinazione per la scrittura di poesie e favole, figlia di un proprietario di uno Iutificio e ragazza più grande della numerosa prole di questa famiglia benestante inglese propeitaria di uno iutificio; la sua amica Valerie invece è più vicina ad essere una donna che una ragazza, il rosso è il colore della sua veste, simbolo di un'intraprendenza spergiudicata già molto marcata e consapevole della propria sessualità; infine Melanie la vicina di casa, ragazza metà inglese e metà indiana, già matura e saggia per la propria età, poichè alle prese con la decisione difficile a quale delle due identità voglia appartenere.
Il racconto di formazione si miscela con il melodramma e con inserti documentaristici evidenti nelle sequenze delle festività indù, e più discreti invece nel descrivere la vita, la morte e gli amori che sorgono lungo le acque del Gange, popolate da una moltitudine di persone di varia estrazione sociale.
Chiamarsi Renoir in Francia deve voler dire qualcosa e sicuramente il talento artistico ce lo devi avere nel sangue, d'altrone Pierre Auguste-Renoir fu uno dei maestri dell'impressionismo e uno dei più grandi pittori della settima arte, il figlio Jean Renoir a suo modo è un vero e proprio pittore della settima arte e con Il Fiume, mostra tutto il suo talento estetico nella costruzioni di immagini dai colori carichi di connotazioni simbolico-metaforiche, esaltando nei contorni netti il paesaggio esotico e tropicale Indiano, raggiungendo risultati toccati nella storia del cinema con il technicolor solo da Powel e Pressbruger, dai melodrammi di Douglas Sirk o dai musical di Vincente Minnelli e Stanley Donen.
I colori dell'India esplodono in una tavolozza sensoriale che dona gioia visiva agli occhi dello spettatore estasiato, è un film bellissimo da vedere, il quale si crogiola nella saturazione visiva mai di maniera e attentamente calibrata nel suo uso; non si può negare dopo l'ora e quaranta visione la felicità dell'esperienza immersiva in questo luogo così lontano eppure così ricco di tradizioni millenarie di stampo sociale e religioso, un mondo ignoto di cui Renoir ci fà sentire gli odori e le sensazioni che si provano, che siano reali o scaturite da un racconto diegetico come quello di Harriet dedicato alla dea Krishna con tanto di danza girata in modo sperimentale, un racconto che è la storia di tante ragazze indiane che si sposano obietta Valerie, eppure la vita è questa, un ciclo perpetuo senza inizio e senza una conclusione nello scorrere continuo del flusso, il fiume scorre sempre, così come le tre ragazze ed il capitano John sono sempre in costante movimento, figure irrequiete e mai statiche nel loro animo mutevole, sfuggenti come lo è il film e la sua intimità più profonda oltre il significato, questo è un elemento di frustrazione da parte dello spettatore per via di un Renoir che in taluni frangenti gioca troppo alla citazione di "quadri impressionisti" tramite i suoi personaggi, invece di penetrare ancor di più nella profondità misteriosa del subcontinenti indiano con il loro vero sentire e non quello proveniente da un'altra cultura estranea.
La metafora filmica comunque risulta chiara : l'esperienza della vita, la ricerca del senso di essa e le sperimentazioni di come l'esistenza ci riservi gioie ma anche accadimenti terribili; immersi in un paesaggio esotico ed inafferrabile nel suo essere misterioso forse l'India di Renoir ragala molto a livello sensorale, ma poco per quanto riguarda lo spaccato socale-colonialista in sè come ha accusato certa critica all'epoca, visto che tale aspetto non è per niente affrontato dal regista e la governante indiana Nan è perfettamente servizievole nei confronti della famiglia bianca coloniale della protagonista Harriet.
Un'esperienza metafisica inafferrabile e forse irrisolta, come lo è la vita e che spiazzò gran parte della critica dell'epoca e venne recepito dagli americani come una stravaganza esotica, tranne dai Cahier du cinemà, che lo giudicarono un capolavoro con l'analisi di Andrè Bazin. Uno dei film preferiti di Scorsese in assoluto, banco di prova come assistente alla regia per il futuro cineasta Satyajit Ray, altro nome formatasi alla "scuola Renoir", ad oggi sicuramente il Fiume lo si può considerare tra i più alti risultati raggiunti dal cineasta francese e tra i massimi risultati della settima arte.
Film aggiunto alla playlist dei capoalvori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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