Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Il fiume come metafora della vita: grande idea (come potenzialità a livello di riflessione per immagini) ed immenso limite di questo film, che si fa contemporaneamente involuto ed oscuro sotto il profilo narrativo. Renoir sceglie il colore anche se siamo solo nel 1951: la natura, elemento preponderante in questo Fiume, necessita di essere espressa in tutta la sua freschezza, vivacità, in tutto il suo splendente impatto e quindi ha assolutamente bisogno del colore; la vita è a colori del resto, e Renoir ha intenzione di parlarci proprio di essa. Harriet vive infatti il periodo della vita in cui si prende coscienza della fragilità e della caducità di essa, come per l'appunto lo scorrere delle acque di un fiume insegna, con Eraclito, che 'panta rei', cioè tutto scorre: Harriet incontra così l'amore beffardo (per un uomo maturo e sfuggente), comprende la meravigliosa crudeltà del dono della vita (la sofferenza del parto, la morte) e proprio con la morte (quella del fratellino) finisce per chiudere un percorso di acquiescente presa di coscienza: in concreto, può dirsi 'cresciuta'; filosoficamente (ed il film è pregno di filosofia orientale) ha conosciuto la dote dell'accettazione. Cento minuti davvero lenti (la sostanza dei fatti raccontati è poca, il ritmo langue), ma una pellicola pregna (nel suo sottofondo) di argomenti troppo profondi per essere palesati in superficie. 6/10.
Una famiglia inglese si trasferisce in India. Lungo il fiume la figlia maggiore, l'adolescente Harriet, scopre la vita (capisce di non essere più solo una bambina), la natura (che domina il panorama circostante) e l'amore (per un fascinoso capitano americano senza una gamba); attorno a lei due coetanee compiono un simile percorso.
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