Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Come fa una ragazza diseredata di 32 anni, che da quando aveva 13 anni fa la cameriera nei drugstore, che ha visto lentamente morire il padre e il suo cane (il secondo meglio del primo, “graziato” da un colpo solo) e si è ritrovata con una madre di 140 chili moralmente disgustosa e una sorella e un fratello orribili, a conquistare il rispetto di se stessa? Ognuno ha le sue strade per raggiungere la sua occasione, direbbe “Scrap-Iron” (Ferrovecchio) Dupris, il malconcio custode-narratore-confessore della palestra Hit Pit e delle vite dei personaggi che la popolano. Il più è poter dire a se stessi, nel momento in cui si sta per andarsene, di averla avuta, quell’occasione. Per Maggie Fitzgerald (cognome di origine inequivocabile, anche se viene da una montagna sperduta del Missouri) il rispetto di sé passa dalla boxe, da una palestra scalcinata in una stradina di Los Angeles, dalla sveglia alle tre e mezzo del mattino per andare a correre prima del lavoro, dagli ostinati allenamenti notturni davanti a un sacco che penzola pesante dal soffitto, e da una voglia ancor più testarda di diventare pugile professionista, di essere allenata da quel vecchio burbero e laconico che crea pugili perfetti ma non sa mai decidersi a portarli alle sfide importanti. «Parlare di boxe è parlare di rispetto», dice ancora Scrap: e proprio di questo, di rispetto di sé e degli altri, parla Million Dollar Baby, nella sua maniera obliqua e dolorosa, nel suo affastellarsi sofferto di dubbi enormi e di sensi di colpa infiniti, travestito da film di genere (sportivo, certo, ma i dialoghi potrebbero essere quelli di un western del crepuscolo, o di Una calibro 20 per lo specialista – esordio di Cimino profondamente segnato dalla presenza di Eastwood – o di Un mondo perfetto). Bello quanto Mystic River, che era bellissimo, e quanto quello capace di parlarci del nostro bisogno etico in un mondo che etico non è più (ma lo è mai stato?), dove tutti, le madri e le figlie lontane, la Chiesa, i medici, i ragazzi della palestra, rifiutano di darci delle risposte e di addentrarsi fino al fondo dei nostri cuori. Qui non ci sono un’intera generazione (e i loro padri, e i loro figli), una città, un paese, una cultura, segnati da una violenza antica (o meglio, ci sono, ma sono tutti sepolti nel passato dei protagonisti, e riaffiorano solo a tratti, un’immagine, un ricordo, con pudore infinito). Qui ci sono quattro personaggi, speculari, ancora una volta due “padri” e due “figli”, impegnati in un addestramento-iniziazione che è anche espiazione. Tutti, non solo Frankie, hanno dei peccati da scontare, magari quelli degli altri, di un match andato male e di una carriera stroncata, di una famiglia balorda e avida, di un’infanzia bacata che ha scaraventato un ragazzino esile e un po’ tardo dal Texas fino alla porta dell’Hit Pit. Se c’è un film profondamente religioso, di una religiosità umana e, se vogliamo, laica, questo è Million Dollar Baby; non solo perché il peccatore Frankie sconta da 23 anni andando a messa tutti i giorni e tutti i giorni ponendo domande alle quali il prete non vuole rispondere («Cos’è la Trinità? pane, burro e marmellata buttati insieme in un sacchetto?», «E l’Immacolata Concezione?»). Ma perché quella di Maggie Fitzgerald, spazzatura bianca che si riscatta, è un’autentica Passione. Diretto da Eastwood con uno stile essenziale che non sgarra mai, sempre a un passo dal cliché e dall’effetto, sempre puntuale nel tagliare o dissolvere una scena quando sta per sgranarsi nel melodramma, e scritto con un’economia e un’ironia che riproducono fedeli il carattere schivo (classico) dei protagonisti, Million Dollar Baby è un film sulle radici buone e su quelle cattive, sui sogni che ci portiamo dentro, sulla parte migliore di noi, su Yates, Innisfree (il paese della poesia e di Un uomo tranquillo), l’Irlanda, e perciò John Ford. «Il mondo è pieno di irlandesi, o di gente che vorrebbe esserlo», dice ancora il narratore “Scrap”. Non vi dirò cosa vuol dire “Mo guishle”, la scritta in gaelico che Maggie porta impressa sulla vestaglia che le regala Frankie per l’incontro contro la campionessa inglese dei welter. Non voglio togliervi il piacere di sentire il cuore che s’incrina nel momento in cui lo sentirete da Frankie nel finale.
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