Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Si tratta di silenzi, di sguardi che s'incontrano e si fuggono. Si tratta di uomini che si leccano le ferite, di corpi che si deformano, si mutilano, si corrompono. É un capolavoro di umanità, rabbia, dissociazione e fede. É la lunga preghiera del Clint Eastwood più profondo di sempre, che ci concede un pianto inaspettato, rinnovando il Mito che è. Piange e sentenzia "Ormai è troppo tardi". Signori, c'è da togliersi il cappello davanti alla storia di un uomo che si smaschera e mostra il suo cuore dopo una vita di volti duri e rabbiosi. Ma la rabbia quella non cambia. Il film di Clint è ben ancorato a quella solidità, priva di retorica e di moralismi nauseanti, che da sempre lo caratterizza. Non sarà Callahan e non sarà William Munny, ma è ugualmente anarchico dentro, arrabbiato e dignitoso. Clint ci insegna nuovamente che non abbiamo affatto bisogno di eroi, ma di antieroi pronti al bene quanto al male, che non si drogano delle regole dei partiti e delle convinzioni della massa, ma che s'appellano all'etica umana che nasce dall'umile confronto con Dio. L'uomo eastwoodiano, di cui ormai non si può più nascondere l'esistenza, è la miglior rappresentazione dell'uomo moderno, inquieto e dissidente, che "non conosce se stesso", che "non sa niente", e che con il viso scolpito nel marmo incassa ogni colpo e ama in silenzio, senza fare piazzate o plateali buonismi tipici della società effimera dell'apparire-ad-ogni-costo.
Il film si snoda lento, leonianamente lento, e silenzioso tra tre grandi personaggi che si leccano le ferite di una vita, avvolti dalle ombre del loro passato amato e odiato, e dalle ombre dei luoghi in cui si trascinano. E ancora una volta la casa di Clint Eastwood è in ombra, scura, per nulla indagabile, come il suo personaggio, un Frankie Dunn che ci prende per il cuore con quella mano scheletrica e ci squote l'animo fino a sputarci in faccia la verità: che nella vita si soffre. Ma il film non ha la pretesa di insegnarci se sia giusto o sbagliato tenersi tutto dentro, vivere cinicamente e con distacco, allontanandoci da tutto ciò che amiamo. Clint ci racconta solo una storia, bellissima come il cuore nascosto di quel duro settantenne, che nei soli occhi condensa tutta la sensibilità del mondo.
I dialoghi tra Clint e Morgan Freeman son divertentissimi, come quelli di due ragazzi che vogliono tirare sera scimmiottandosi. Le battute scambiate col prete sono esilaranti e irriverenti, e sono gli unici momenti in cui il sole picchia in faccia al vecchio Clint mostrandoci la sua straordinaria maschera di rara bellezza cinematografica.
Quei corpi che si corrompono sono una lezione visiva che concretizza il martirio interno di personaggi unici, altri, che se ne vanno da un'altra parte, lontano dalle regole assurde della sopravvivenza sociale. Clint coccola se stesso e la figlia che non ha, con una sensibilità trattenuta, ma proprio per questo più vera e più dignitosa. Il suo "tesoro" è anche il nostro, lo sappiamo bene. E alla fine, come dice bene la Martini, ci s'inclina il cuore. E io aggiungerei "irreversibilmente". Quelle sue lacrime sono anche le nostre, o almeno lo sono anche di chi, come noi, non ce la fa proprio ad amare alla luce del sole. Clint Eastwood è molto di più che Cinema.
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