Regia di Alexander Payne vedi scheda film
Secondo le parole di Susan Sontag, riportate da Peter Biskind nel suo imprescindibile Easy Riders Raging Bulls: «Fu in questo preciso momento [gli anni ‘70, nda] che andare al cinema, pensare ai film, parlare dei film diventò una passione tra gli studenti universitari e altri giovani. Ti innamoravi non solo degli attori, ma del cinema stesso». Alexander Payne ama il cinema americano (ma sarebbe più corretto dire hollywoodiano) degli anni ‘70 come una reliquia. E si vede. Ma non si fa strozzare, non ci si adagia sopra e intorno, non è insomma un cinefilo entusiasta. Payne, i cosiddetti Seventies, li recupera e li fa macerare per filtrare ciò che serve all’oggi. Sorprendentemente, ne viene fuori molto più di quello che ci aspettiamo. Significa che trent’anni fa si era avanti, anche se sembrava si stesse parlando soltanto dell’allora presente. Come un Bob Rafelson senza - forse - la grande rabbia implosa, come un Hal Ashby senza - forse - la malinconia disperata, Sideways traccia immaginari e realtà e personaggi, come dice letteralmente il titolo, “lateralmente”, non facendosi sentire, in punta di piedi (lateralmente rispetto a cosa, è facile intuirlo). I due amici che si mettono in auto e percorrono la California a degustare vino e a conoscere territori, donne e se stessi, sono figurine piccine dentro quel contesto enorme e inafferrabile che è il mondo. Eppure, enormi lo diventano anche loro, Miles e Jack, perché sono esistenze finalmente umane, tangibili, annusabili. Lo scrittore fallito e la comparsa televisiva che sta per sposarsi si immergono tra vigneti, vinerie e sentimenti, e arrivano soprattutto alla consapevolezza di possedere qualcosa di “inaudito”, che si chiama vita. Ci può essere pessimismo e ci può essere nel contempo un’apertura di speranza nonostante tutto: Jack che torna a casa non è certo un’immagine solare, mentre Miles che alla fine si reca a bussare alla porta di Maya pone delicatamente un sorriso nel cuore. Sideways è così lontano dal fracasso e dal rumore della contemporaneità che fa stare bene. Ma ce la racconta eccome, la contemporaneità, mettendo a fuoco un paio di caratteri e di solitudini.
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