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Yakuza

Regia di Sydney Pollack vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Yakuza

di rocky85
9 stelle

Il termine “yakuza” deriva da un numero considerato perdente nel gioco giapponese, il 20. In sostanza, il gangster giapponese con orgoglio perverso ha voluto rivendicare la propria cosciente natura di perdente, come ci informa una didascalia prima del prologo. Yakuza è il titolo di questo splendido noir connotato da un forte senso della tragedia e dell’azione, probabilmente il capolavoro dell’eclettico Sydney Pollack, regista di punta del cinema americano degli anni Settanta. Su una sceneggiatura magnifica di Robert Towne e dell’esordiente Paul Schrader, basato su un racconto del fratello Leonard Schrader, che era stato in Giappone durante un periodo di crisi depressiva ed aveva imparato i costumi e le usanze del popolo nipponico, Yakuza si propone prima di tutto di esplorare con reverenza il difficile rapporto tra due culture diverse e apparentemente lontanissime tra di loro. La parola chiave è “jinji”, o anche “michi”, che significano “peso”, “via stretta” ma soprattutto “obbligazione”. L’obbligazione che lega l’ex membro della yakuza Tanaka Ken (Ken Takakura) all’americano Harry Kilmer (Robert Mitchum). Durante la Seconda Guerra Mondiale Harry aveva vissuto per un po’ di tempo in Giappone, dove si era innamorato della sorella di Ken, Eiko (Keiko Kishi), aiutandola a sopravvivere e salvando la figlia di lei gravemente ammalata. Di ritorno dalla guerra, Ken era rimasto indignato per il comportamento di sua sorella ma allo stesso tempo riconoscente ad Harry per quanto aveva fatto, e se ne era andato di casa tagliando ogni rapporto con Eiko. Molti anni dopo, Harry viene contattato dal vecchio amico George Tanner (Brian Keith), imprenditore invischiato in loschi affari con la yakuza giapponese, che gli chiede di andare in Giappone per salvare la giovane figlia, rapita dal gangster Tono. Harry fa ritorno in una Tokyo che non riconosce più, mosso soprattutto dalla sua speranza di ritrovare Eiko e rivivere insieme a lei quell’amore mai dimenticato. Ma per portare a compimento la sua missione, Harry è costretto a chiedere aiuto proprio a Tanaka Ken, che in virtù della sua “obbligazione” con Harry non può rifiutarsi.

Yakuza è un’opera straordinaria, raffinata formalmente e visivamente magnifica, con i suoi colori accesi e i toni lirici interrotti da brutali e barocche esplosioni di violenza. Eppure è quasi un corpo estraneo all’interno della filmografia avanguardistica di Sydney Pollack, perché guarda indietro. Non c’è qui la voglia di innovare il cinema americano come nelle sue precedenti grandi opere, piuttosto il desiderio di guardare e di confrontarsi con il passato. Storia di un amore consumato e vissuto in pieno, ma oramai perso e che non tornerà più indietro. Ma soprattutto rappresentazione di un mondo legato a valori antichi e inusuali quali l’onore e il debito morale. Sia Harry che Ken (magnificamente resi da uno straordinario e disilluso Robert Mitchum e da un triste Ken Takakura) sono due “reliquie, residui di un'altra epoca e di un’altra terra”, in contrasto tra di loro ma legati da un vincolo indissolubile che rende le loro azioni naturali e necessarie. “Sarà anche inutile, ma non è un gesto… E’ un atto più che doveroso” dice Harry a Ken quando decide di essere ancora al suo fianco dopo che l’aiuto dell’amico ha tragicamente devastato la sua stessa famiglia. Yakuza diventa quindi soprattutto la storia di una dolorosa e struggente amicizia, legame che vince su ogni evento, su ogni incomprensione e su ogni drammatico avvenimento della vita. E il gesto finale di Harry verso l’amico è di una commozione che difficilmente si può dimenticare: cruento, ma soprattutto puro e necessario. Gli uomini d’onore non piangono e non soffrono il dolore, ma le lacrime che non escono si depositano sul cuore. "L’acqua cambia continuamente, ma il fiume rimane”.

 

 

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