Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
Buon film di Pollack, il cui miglior lavoro resta "Corvo rosso non avrai il mio scalpo!" (1972). "Yakuza" è un film sull'amicizia al di là di tutto e di tutti, ed anche sull'onore, che comunque non sia ottuso e fine a sé stesso, benché comporti sacrifici dolorosi fino all'inverosimile. Ma è anche un film sul Giappone, del quale trent'anni fa non si sapeva moltissimo, ben prima dei primi mignoli tagliati nei film di Kitano. Il Giappone di "Yakuza" è un paese ambiguo e misterioso, come dimostrano le prime scene, che fanno vedere come convivano un'anima ipermoderna e tecnologizzata e un'anima tradizionale, impersonata dal kimono indossato da Eiko e dai katana della collezione di Oliver. E soprattutto è un paese vischioso, dal quale è difficile uscire indenni, come se gli americani, con la vittoria nella seconda guerra mondiale e le tragedie di Hiroshima e Nagasaki si portassero dietro il fardello della colpa di essersi intromessi (come ha fatto Harry tra Eiko e Ken) con prepotenza in un groviglio inestricabile di tradizioni ancestrali millenarie. Ciò che, all'epoca, stava accadendo in Viet Nam. Con qualche caduta di tono degna di un "Sayonara" scanzonato da epoca del riflusso, "Yakuza" è uno spettacolo che vale la pena di essere visto, e perfino Robert Mitchum, che all'inizio sembra un pesce fuor d'acqua, ha le sue chance per dimostrare di avere ancora qualche freccia al proprio arco d'attore. E questo nonostante un doppiaggio assurdo che gli affibbia la voce nasale di Renzo Palmer (almeno credo), qui probabilmente anche con il raffreddore. Molto bravi quasi tutti i giapponesi, e in particolare Ken Takakura.
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