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Ghost in the Shell

Regia di Mamoru Oshii vedi scheda film

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La recensione su Ghost in the Shell

di Antisistema
9 stelle

"L'impossibilità di poter effettuare una netta quanto precisa dicotomia tra reale ed irreale"

 

Gli anni '80 sono stati alquanto avari di riconoscimenti nei confronti di Mamoru Oshii, che proponendo un cinema d'animazione sperimentale, aveva ripetutamente fatto fiasco al botteghino, poiché il pubblico gli ha preferito un cinema commerciale e più spettacolare dei suoi colleghi Miyazaki e Otomo. Dopo essersi rilanciato con i due film di Patlabor, Oshii decide nel 1995 di lasciare un segno indelebile nella storia dell'animazione con la pellicola "Ghost in the Shell", basato sull'omonimo manga di Masamune Shirow. Siamo nell'anno 2029 a New Port City in Giappone, in mondo totalmente informatizzato e connesso globalmente alla rete. Tutto questo ha portato un progresso senza precedenti, tanto che oramai gli esseri umani hanno sostituito i loro corpi fisici, con quelli meccanici. Tutto questo ha migliorato le funzioni delle persone, ma al contempo i crimini informatici sono cresciuti a dismisura e per fronteggiare ciò è stata creata la Sezione 9, che nel corso della storia si troverà invischiata nel caso del "Burattinaio", hacker dalle grandi abilità di cui si serve per introdursi nei cervelli cibernetici delle persone, per prenderne il controllo. 

Per la prima volta Mamoru Oshii si ritrova dalle mani un budget stratosferico ma, invece di dilapidarlo in scene d'azione dal ritmo frenetico e impiegare una regia modaiola che punti tutto sulla grafica visiva, decide di essere fedele a sé stesso, realizzando una pellicola conforme alla sua personale ricerca sull'impossibilità di una dicotomia tra reale e irreale.
Il risultato ottenuto è strabiliante, visto che l'autore impiega sapientemente l'alta somma di denaro a disposizione per sperimentare delle personali soluzioni d' avanguardia visiva, che mettono in scena immagini concettualmente complesse, grazie alle quali può adottare un approccio maggiormente disinibito verso la trama principale, in modo da esprimere la sua poetica. 
Fondamentalmente l'intero film gira intorno ai dubbi esistenziali del maggiore Mokoto Kusanagi della Sezione 9, la quale avendo un corpo totalmente cibernetico (ad eccezione di alcune fibre nervose), consente al regista di mettere in scena concetti filosofici estremamente complessi legati alla definizione della "vita", in una società oramai composta da individui che fanno sempre più uso di parti cibernetiche per superare i limiti imposti dal normale corpo fisico, distinguendosi dalle semplici macchine per via del "ghost", intima essenza consistente in un insieme conoscenze pregresse grazie alle quali ogni individuo forma il proprio Io. Tutto questo dovrebbe imporre una definizione di vita tenente conto del progresso informatico avvenuto, perchè tale concetto non può essere racchiuso entro schemi predefiniti ma, dovrebbe allargarsi sino a ricomprendere in tale nozione anche un agglomerato di informazioni, che fuse insieme portano all'autocoscienza di tale insieme. Legato a tutto questo si pone un interessante dilemma, maggiormente legato alla poetica di Oshii, concernente la dicotomia tra realtà e illusione (in questo caso la rete). Se è assodato che nel concetto di vita possiamo includervi un agglomerato di informazioni, come fa un essere umano a carpire esse in un mondo avente sempre meno legami con la realtà? Nonostante il film sia di metà anni '90, Oshii dimostra di essere anni luce avanti per l'epoca, chiedendosi già come la rete e le informazioni in essa circolanti, possano influire sul cervello umano. Come ben sappiamo in una rete globale l'accesso è consentito a tutti e quindi le varie informazioni (anche quelle fasulle), possono essere immesse da chiunque in circolazione, così che nel mare infinito della rete, non ci sia più alcun modo per discernere il vero dal falso. I dilemmi di Mokoto riguardano proprio questo punto, poichè dalla realtà si apprende sempre meno e l'esperienza virtuale è tutto, ma siccome la rete non è sempre usata a fin di bene, chiunque potrebbe hackerare il suo cervello cibernetico per riscriverlo totalmente, immettendo nuove informazioni in modo da poter in questo modo controllare l'individuo alterando la percezione che egli ha verso la realtà.

Nonostante sia una pellicola ad alto budget, Mamoru Oshii non abbandona minimamente il suo stile registico, consistente in un ritmo molto lento e inquadrature statiche in primo piano sui personaggi, non rinunciando al contempo a realizzare svariate sequenze che sono da storia dell'animazione (sicuramente la migliore è quella riguardante l'emersione di Makoto dall'acqua, quando vede il suo riflesso). Il character desing di Hiroyuki Okiura, esprime alla perfezione i dubbi e l'estrema estraniazione dei personaggi dalla realtà che li circonda.
Oshii decide di optare per inquadrare dal basso i personaggi dei personaggi in modo da cogliere i loro occhi vacui, intenti a fissare un qualcosa che però non sono capaci di vedere e afferrare. Dal lato grafico non c'è nulla da obiettare poiché si è riusciti a mescolare idee visive consolidate nel passato (derivanti da Blade Runner e Akira), confluenti soprattutto nella raffigurazione dell'alienante New Port City (con i suoi vicoli colmi di sporcizia sino ai palazzi governativi di vetro slanciati verso l'alto), con la sperimentazione di interessanti soluzioni di avanguardia visiva dove animazione tradizionale e CGI sono fuse alla perfezione.
A tutto ciò contribuisce una fotografia ai massimi livelli, che sfruttando l'illuminazione delle luci al neon (talvolta in modo sin troppo eccessivo), contribuisce a creare un'atmosfera straniante e per certi versi onirica. Il tutto è impreziosito dalle musiche di Kenji Kawai, che fondono ritmi tribali a quelli new-age, contribuendo a far immergere lo spettatore in questa claustrofobica città futuristica.

Fondamentalmente ci si ritrova (con buona pace dei detrattori di Oshii), innanzi ad un capolavoro che non solo risulta contenutisticamente all'avanguardia per l'epoca, ma tocca vette di eccellenza anche dal lato visivo e grafico, per via dell'uso di soluzioni tecnico-registiche mai viste prima, grazie alle quali l'animazione Giapponese ha potuto fare enormi balzi in avanti. Sono da rigettarsi come pretestuose, le critiche negative riguardanti l'estrema semplificazione dell'opera originale da cui è tratto. Si ricorda a questi individui che cinema e fumetto sono due media distinti, con regole comunicative ed espressive diverse l'uno dall'altro.
Oshii insieme alla sceneggiatore del film Kazunori Ito, ha scelto di trasporre nella pellicola solo le parti che maggiormente si confacevano alla sua personale ricerca, come solo un grande autore sa fare e in tutto questo ha deciso di stravolgere il comportamento dei personaggi che da scanzonati e ironici, diventano freddi e seri. 
Nonostante l'intento commerciale, il film fu un sonoro flop al botteghino, perché come al solito il regista in questione propone film molto avanti per l'epoca in cui escono e che richiedono l'uso del cervello per snocciolare i complessi contenuti in essi presenti, cosa a cui la plebe è ben poco avvezza; ma nonostante ciò si consiglia la visione dell'opera a qualsiasi tipologia di spettatore perché propone comunque concetti attuali ancora oggi.

 

scena

Ghost in the Shell (1995): scena

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