Regia di Mamoru Oshii vedi scheda film
Durante il debutto in Occidente nel 1996, "Ghost in the Shell" era già un manga di culto anche negli Stati Uniti, ma la trama criptica e piena di sfumature religiose attinenti ad una linea filosofica di stampo levantino comprensibile solo al pubblico di appassionati, lo fecero presto diventare un prodotto di nicchia diffuso più o meno nell’ambito della sub-cultura degli “otaku”. Nella realizzazione del lungometraggio furono chiamati in causa dei rinomati mestieranti del genere, tra cui Mamoru Oshii alla direzione, Kazunori Ito per lo script ed il fumettista Shoji Kawamori per la progettazione del design delle parti meccaniche dei cyborg. Il risultato fu una trasposizione cinematografica di altissima qualità manifatturiera, ritmata come un film di Hollywood, e nel contempo non indifferente al soggetto della versione abbozzata su carta; nel futuro prossimo (2029) ormai la rete è interamente interfacciata agli esseri umani ed alcuni di essi hanno subìto un processo evolutivo, il quale li ha fatti convertire in degli organismi metà androidi, dai tratti somatici antropici, dotati comunque di una propria identità ed in grado di localizzare le fonti di comunicazione dei loro simili tramite il pensiero. Kusanagi, la protagonista, agente segreto per la pubblica sicurezza della “Sezione 9”, è in conflitto con sé stessa, in quanto consapevole che il suo “ghost”, l’anima cibernetica dei componenti robotizzati, possa tentare di dirottare lo spirito verso un tipo di materia a lei estranea. Una nuova minaccia infatti si profila all’orizzonte: il Progetto 2501, un software sfuggito al controllo della MegaTech, il quale adesso è divenuto autocosciente e desidera plasmarsi con un’energia vitale limitrofa in modo da assumere delle spoglie anonime e poter chiedere asilo politico... Il limite di "GITS" sta nella rada chiarezza nell’espletare con una limpidezza narrativa abbordabile l'interrelazione fra tecnologia, i gruppi etnici del pianeta, e le cabalistiche tematiche sacre sopracitate. I numerosi split-screen ed i risvolti dai dialoghi repentini e imprudentemente frondosi di dettagli impediscono allo spettatore medio di annoverare serenamente i passaggi della pellicola. Nonostante tutto, la complessità stilistica dell’animazione, la maturità degli argomenti trattati, e la colonna sonora minimalista dai toni liturgici di Kenji Kawai, danno uno spessore artistico ancora oggi difficilmente raggiungibile da altre rappresentazioni affini. "Ghost In The Shell" è invéro un bijou barocco di sovente vivacità intellettuale, il quale merita la nobile attribuzione di uno dei migliori anime mai proiettati.
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