Regia di Alina Marazzi vedi scheda film
Un'ora sola ti vorrei, titolo di una celebre canzone degli anni '30, è l'atto di amore che l'esordiente Alina Marazzi tributa alla madre morta suicida, quando lei aveva appena 7 anni, dopo lunghi periodi di istituzionalizzazione psichiatrica. È un mistero il motivo per cui la critica abbia speso tanti elogi per un documentario di un'oretta di durata che sembra collocarsi assai più sul versante del buco della serratura che non da quello del cinema d'essai. La regista è di quelle che sono nate e cresciute nei salotti bene, nelle atmosfere ovattate e rassicuranti, di alto lignaggio, nonché nipote dell'editore Hoepli: tanto le è bastato per raccogliere un consistente numero di filmati amatoriali delle generazioni che l'hanno preceduta, assemblarli alla bell'e meglio e cucirci sopra una straziante, insopportabile voce monocorde che miscela le parole dei diari della madre con qualche (raro) spunto di ricostruzione postuma. Ne esce un'operazione che non suscita alcun interesse, che rovista sgraziatamente tra ricette mediche, carte cliniche ed elenchi di farmaci senza riuscire né a emozionare né a ricostruire lo spaccato storico che sta dietro la vicenda personalissima che solo chi è nato e cresciuto nell'opulenza può permettersi di raccontare come fosse l'ultimo giochetto creativo.
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