Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Il 1941 è l'anno del leggendario Quarto Potere di Orson Welles, il film migliore della storia del cinema, sarebbe quindi giusto passare oltre e andare al 1942 per cercare altri capolavori, ma ciò denoterebbe estrema miopia di giudizio, poichè non riconoscerebbe come tali Piccole Volpi di William Wyler ed una pellicola uscita in un paese situato dall'altra parte dell'oceano Pacifico, precisamente in Giappone, cioè il monumentale La Vendetta dei 47 Ronin di Kenji Mizoguchi, grandioso non solo per l'abnorme durata di oltre tre ore e mezza, che rese necessaria una divisione in due parti all'epoca dell'uscita nei cinema, ma soprattutto perchè segna uno titanico sforzo tecnico reso possibile specie nella prima parte di film, dal budget alto messo a disposizione dalla Shochiku, che avrebbe voluto sfondare ai botteghini con una pellicola tesa a celebrare i più alti valori del Giappone, quando esso si apprestava a fare pieno ingresso nella seconda guerra mondiale, dopo oltre 10 anni di guerra "parallela" condotta in Asia.
Tratto dalla nota quanto celebrata vicenda dei 47 ronin, che scelgono di vendicare il seppuku del loro daimyo Asano e la confisca di tutti i suoi beni, causato dalla sua rezione violenta nei confronti degli insulti del nobile Kira (Kazutoyo Mimazu) neanche punito per la sua evidente provocazione, nonostante fosse stato proibito ai samurai di farlo per ordine dello shogun in persona, però l'etica del samurai impone il dovere di vendicare il proprio signore al di là di ogni legge imposta; Mizoguchi sfrutta l'abnorme durata concessagli dalla produzione ed il cospicuo budget, al servizio di un'epica non dell'azione tenuta sempre fuori campo negli avvenimenti salienti, con tanto di clamorosa lettera che relaziona la vedova di Asano sul tentativo riuscito di vendetta nei confronti del nobile Kira, ma della psicologia e dell'analisi umana sul dovere di fare vendetta da parte di taluni dei samurai più fedeli al nobile Asano, in primis del gran ciambellano Oishi Kuranosuke (Chojuro Kawarasaki), che conscio delle scarse probabilità di successo se agissero subito, per via delle ingenti misure di protezione poste nei confronti di Kira per via anche dei suoi legami con le alte sfere del potere, elabora un piano a medio-lungo termine che potrebbe portare al compimento dell'agognata vendetta, ma estremamente rischioso, poichè subordinato alla non futura riabilitazione del clan Asano da parte dello shogun (fatto che priverebbe di qualsiasi significato l'uccisione di Kira), quanto soprattutto alla lunga attesa da sopportare per dissipare ogni sospetto sulle loro persone al fine di far abbassare la guardia e colpire duro. La pellicola di Mizoguchi è un'opera d'arte fatta di dialoghi fini, valorizzati in ogni singola parola dai long-take infiniti, che occupano spesso la durata di un'intera sequenza, questo contrasto tra una scrittura sapiente scrittura ed un'immagine in apparenza statica, unita alla lunga durata, potrebbe in effetti stendere lo spettatore meno smaliziato, che potrebbe chiedersi dov'è l'epica in una storia dove la vendetta e l'azione dovrebbe essere parte integrante della narrazione, mentre qui risulta del tutto assente.
In questa mancanza di dinamismo nell'azione in realtà si trova la potenza dell'epica, poichè per il cineasta quest'ultima non risiede nel numero di gente ammazzata sullo schermo e su quante spade vengano agitate per aria, ma negli atti dolorosi, contorti ed in divenire della formazione della volontà umana, che una volta manifestatasi rende del tutto inutile secondo l'ottica del regista mostrare i suoi effetti sullo schermo, poichè già la sussistenza di essa, frutto di un lungo travaglio psicologico, basta a far nascere l'epicità, in ciò in coerenza con il cinema anti-spettacolare di Mizoguchi, il quale ha sempre ricercato nella propria arte la valorizzazione del lato immanente dell'animo umano, una parte forse meno appariscente rispetto a quella trascendente ad esso, ma se abilmente portata in scena tramite geometrismi nelle inquadrature perfettamente fuse con le scenografie si spoglie, ma al tempo stesso ben costruite e mai banali visivamente, regala una potenza devastante all'immagine.
Certo, rispetto a Quarto Potere con le sue distorsioni nell'immagine tramite gli obiettivi grandangolari, qui siamo un passo indietro dal punto di vista della tecnica, più vicina a Piccole Volpi nella concezione della profondità di campo, ma rispetto alla neutralità dell'occhio umano voluta da Wyler, il cineasta nipponico sceglie di appoggiarsi maggiormente ai pochi (ma ben dosati) oggetti di scena, per creare una composizione visiva che non stufi mai l'occhio umano, cosa resasi necessaria dalla mancanza totale di primi piani, dall'assenza del classico campo-controcampo e dall'uso estensivo dei caratteristici piani sequenza, che sperimentano talvolta dei piccoli movimenti di macchina che circolarmente finiscono sempre per ritornare all'interlocutore, contribuendo con la forma a completare la formazione della volontà di questi ronin espressa a parole.
I due anni di tempo necessari per compiere e portare a termine la vendetta da parte degli ex-samurai, sono momenti difficili, dove l'etica del bushido viene messa a dura prova dall'irruenza da parte dei più giovani desiderosi di immediata vendetta e dagli affetti familiari, Kawarasaki nel portare in scena il suo Oshi, varia spesso il proprio registro espressivo a seconda delle circostanze, ma sempre celando il suo volto con una maschera invisibile, per simulare le proprie vere intenzioni, arrivando a condurre uno stile di vita dissoluto per dissipare ogni sospetto su sè stesso agli occhi dell'autorità. E' difficile per un occidentale capire l'ottica psicologica in cui si muovono questi ronin, alcuni dei quali divorziano dalle proprie mogli o sposano delle donne al solo fine di acquisire informazioni su Kira, forse il loro commovente riverenza alla tomba del loro defunto daimyo Asano dopo aver compiuto la vendetta, disvela in parte l'incomprensibile etica del samurai, ma rende comunque arduo per lo spettatore non esperto di cultura giapponese di poter giustificare una vendetta che non solo era stata proibita dal potere, ma che ha portato questi 47 ronin ad annullare totalmente sè stessi per un unico fine, il cui risultato poi non poteva che condurre alla morte tramite il più grande onore concesso ad un samurai; il seppuku.
Forse per rendere più comprensibile il modo di pensare in cui si muovono tali personaggi, si dovrebbe far riferimento alla tragedia di Antigone, che pone un contrasto tra la legge scritta e una legge umana non scritta, risolta dalla donna a favore di quest'ultima, così come fanno i 47 ronin che scelgono il primato dei valori imposti dall'etica del samurai, nonostante gli 80 anni del sistema dello shogunato abbiano portato quella pace, che ha reso la figura del samurai inutile ai fini bellici, costringendoli a compiti amministrativi.
Il significato del gesto estremo di questi ronin risiede probabilmente nella loro volontà di scuotere una società "ingessata" ed "immobilizzata" da un lungo periodo di pace, che ha fatto si che dimenticasse i valori che contribuirono a porre le fondamenta del Giappone e di cui la figura del samurai ne è la massima espressione, recuperare quell'etica quindi è assolutamente necessario per un Giappone, che si appresta ad entrare in una guerra totale, qui risiede una certa natura propagandistica se vogliamo data anche la data d'uscita, ma ciò non può essere usato come malus per il fatto che tutto questo è connaturato alla storia vera a cui si rifà il film, nonchè al fatto che se la critica perdona il contenuto smaccatamente propagandista delle pellicole comuniste di Sergei Eisenstein, non si vede perchè bisognerebbe punire Mizoguchi per eguale finalità, che tra l'altro risulta comunque molto meno evidente rispetto alle opere del collega russo. Raro esempio di pellicola quasi interamente al maschile da parte del regista, date le scelte anti-spettacolari volute da Mizoguchi, dal punto di vista propagandistico la pellicola si rivelò un grosso fiasco commerciale, anche se i produttori comunque finanziarono una seconda parte a Mizoguchi, il quale però ebbe enormi restrizioni di budget, cosa che si nota nell'estrema povertà delle location e nella radicalizzazione dello stile registico. Data la guerra per lungo tale capolavoro assoluto fu assente dagli schermi occidentali, tanto che ebbe una distribuzione negli USA solo dagli anni 70' in poi.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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