Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Dopo la condanna a morte di Asano, nei palazzi dell'antico Giappone feudale il tempo appare fermo, aggrappato agli spazi ormai vuoti di gioia e di fasti imperiali, nell'attesa che separa la fine di un'epoca dalla nascita di una nuova idea. In questa storia ogni passaggio di condizione, dalla vita alla morte, dalla gloria alla vergogna, è una prolungata agonia fatta di gesti lenti e parole meditate. Le emozioni si stemperano in pensieri sul prima e il dopo, come se ogni personaggio portasse in sé la consapevolezza che le sue scelte sono singoli contributi al destino del mondo, casi particolari inquadrati in una filosofia universale. Il respiro verbale che il melodramma concede al sentimento è qui applicato alla ragione, che si identifica con il rispetto del codice d'onore e degli insegnamenti della tradizione. L'impianto teatrale è limitato all'ambientazione chiusa e alla centralità del dialogo, che sono gli elementi strettamente necessari a delineare una situazione in cui la riflessione "locale" - di determinate persone, in un dato luogo ed in un certo momento – abbandona la connotazione del dramma individuale e si candida a produrre conseguenze nel complesso della Storia. I personaggi di Mizoguchi sono qui più che mai investiti di un ruolo dolorosamente esemplare: sono i coraggiosi pionieri di una rivoluzione, gli uomini chiave di una difficile fase di transizione. L'atmosfera di questo film è una primavera travestita da autunno: è la promessa di una eroica svolta che, però, è avvolta nella silenziosa e incolore bruma del segreto, tra i rami sottili e spogli delle strategie. I discorsi ritornano, come un mulinello di foglie morte, sempre sulle stesse domande (uccidere Kira, ricostituire il casato), eppure il racconto non smette mai di crescere. Sul filo di una trama scarna e semplicissima, fioriscono infatti tanti piccoli eventi accessori che irrompono, nel corso principale della storia, apparentemente per inviarne l'evoluzione, in realtà per arricchirla di nuovi risvolti (psicologici, politici, culturali), nascosti dietro momenti rituali (spettacoli, preghiere, oggetti offerti in dono) o improvvise novità (arrivi di messaggeri o di ospiti inattesi). Il colpo di scena non è mai un ribaltamento, bensì l'approfondimento di una vicenda che, nei fatti, si potrebbe ricondurre a due soli concetti: omicidio e vendetta. Sono però le loro motivazioni ideali (la lealtà e il sacrificio) ad essere il cuore pulsante della storia, a creare la tensione passionale con cui la vita si abbraccia alla morte, mentre il principio della fedeltà è la misura di tutto, e la fonte di ogni dilemma.
Colpisce, in questa storia, l'assenza della componente della fatalità e della parabola tragica, a cui si sostituisce il percorso rettilineo della determinazione. L'epilogo mortale non è una caduta che sancisce una condanna morale, bensì lo sbocciare di un progetto di rinascita all'eterna gloria di una ritrovata dignità. "I samurai leali dell'era Genroku" è una celebrazione dell'idea dell'uomo che si rende artefice unico della propria esistenza, ma non, in senso moderno, esaltando la propria libertà, bensì impugnando, in piena coscienza, i valori che, all'interno della società umana, definiscono in toto il suo essere.
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