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L'ultimo samurai

Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo samurai

di port cros
10 stelle

Masaki Kobayashi firma uno splendido apologo sulla necessità morale di ribellarsi alla tracotanza del potere per conservare la propria dignità umana .

 

 

Samurai Rebellion (???? ?????, Masaki Kobayashi, 1967) – Windows on Worlds

 

Voto: 9,5 su 10

 

Un anziano samurai del XVIII secolo, Isaburo Sasahara (Toshiro Mifune), parte della scorta di un potente damiyo (signore feudale), spera che il figlio Yogoro (Gô Katô) possa coronare la sua esistenza con un matrimonio felice, a differenza del suo, ai tempi combinato. La scorbutica moglie è molto esigente in fatto di possibili nuore, ma la famiglia si trova obtorto collo costretta ad accettare la proposta obbligatoria proveniente dal damiyo stesso, che cerca di sbarazzarsi di una concubina divenuta gelosa al punto di aver osato schiaffeggiare la sua nobile guancia, dandola in moglie ad un sottoposto. Pur con qualche mal di pancia Yogoro si piega e sposa Ichi (Yôko Tsukasa): inaspettatamente, trova in lei una compagna amorevole e devota con cui creare una famiglia felice, benedetta dopo due anni dall'arrivo di una bambina, Tomi. Proprio nello stesso periodo però il figlio maggiore del feudatario passa a miglior vita, per cui il bambino che Ichi aveva partorito per il damiyo diviene erede al trono. A questo punto appare sconveniente che la madre del futuro signore sia maritata ad un vassallo, per cui la corte pretende di riprendersi Ichi, manco fosse un pacco o un oggetto da spostare a loro piacimento. Ma stavolta l'arbitrio dei potenti si scontra con un sussulto di dignità.

 

Il dramma epico-storico di Masaki Kobayashi condivide il titolo italiano con la pellicola del 2003 con Tom Cruise, ma il più appropriato titolo internazionale è “La Ribellione del Samurai”, anche se la ribellione coinvolge non solo il veterano guerriero Isaburo, ma pure la sua famiglia, in particolare il figlio Yogoro e la nuora Ichi. La loro è una inattesa resistenza contro il leviatano oppressore in una società dominata da una profonda ingiustizia, strutturata gerarchicamente per favorire gli abusi di governanti che si arrogano di poter disporre della vita delle persone come più gli aggrada, spostandole come pacchi dentro e fuori matrimoni e famiglie a seconda delle mutevoli egoistiche convenienze di chi comanda.

 

 

Bunt - Estetyczna dekonstrukcja etosu samuraja | MF Cinerama

 

L'insubordinazione è apparentemente vana, perché il debole non può che soccombere in un siffatto sistema, ma in realtà per Kobayashi è fondamentale per conservare la propria dignità umana in un mondo di servi senza spina dorsale. Sentirsi "come un kimono di seta trascinato nel fango" è la condizione di chi deve continuamente umiliarsi per compiacere l'ego sconfinato di un signore e padrone. Si innalza al di sopra di questa misera morale chi ha un sussulto di dignità, chi dopo aver per anni subito arriva al limite di non tollerare più ulteriori soprusi. Eroe è chi, a costo della posizione sociale e persino della vita, riesce a trovare il coraggio di dire un chiaro no a chi è talmente tracotante di pensare di risolvere le sue egoistiche beghe ordinandoti di fare harakiri per togliere di mezzo il fastidioso intoppo rappresentato dalla tua autonomia. Meglio piuttosto smontare pezzo pezzo la propria casa, come fanno padre e figlio, per farne un campo di battaglia ove affrontare vendetta dell'oppressore, consapevoli che non mancherà di arrivare. Questa critica di Kobayashi alle malefatte e all'arroganza dei potenti si ricollega all'altro capolavoro Seppuku o Harakiri, di cinque anni prima, dove pure denunciava come i signori feudali spadroneggiavassero disponendo delle vite altrui dietro una sottile patina di ipocrisia.

  

Questo film è anche una riflessione sulla condizione femminile in quella arcaica società patriarcale: Ichi “è una donna, non un pupazzo” protesta il marito di fronte ai dignitari, increduli che qualcuno possa opporsi ai loro desiderata. Da questo punto di vista per Kobayashi è importante sottolineare che la battaglia di principio e di dignità non è condotta solo dagli uomini: Ichi, che fin da quando era ancora una concubina aveva dato prova di temperamento e amor proprio schiaffeggiando addirittura il sovrano che si sollazzava con un'altra amante, condivide fino in fondo la scelta di marito e suocero di non piegarsi, e con le sue ultime parole conferma che sarà sempre la moglie di Yogoro, non provando nemmeno a distoglierli dal destino tragico che hanno con coscienza scelto.

 

Samurai Rebellion (1967) - (Drama, Martial Arts) [Toshirô Mifune, Gô Katô]  - video Dailymotion

 

Toshiro Mifune, dando prova come tutto il cast di una recitazione volutamente teatrale ed innaturale, domina la scena raffigurando uno dei suoi innumerevoli samurai come una figura eroica e tragica, ma sempre profondamente umana. All'inizio Isaburo ci pare deluso dall'inutilità in cui sembra caduto il suo ruolo di guerriero e sottomesso alla bisbetica consorte; nella resistenza ritroverà il senso della sua missione guerriera. La performance di Mifune è un crescendo di autorevolezza ma anche di amore paterno (e di suocero e di nonno), lanciata verso il potente finale quando, rimasto da solo in scena, il suo Isaburo cerca vanamente di lasciarsi alle spalle il corrotto feudo del damiyo, in un viaggio disperato con in spalla la bambina Tomi, verso la corte imperiale di Edo dove si illude di ottenere giustizia. Di fronte all'ennesimo divieto, si scatena come una vera e propria micidiale macchina da guerra, che all'arma bianca affronta l'artiglieria feudale: nell'ultima sorprendente sezione Kobayashi cambia quasi genere al film, chiudendo con l'azione più combattuta e sanguinosa un dramma fino a quel punto costruito sui dialoghi e incentrato su una famiglia.

 

Resisting Authority in Masaki Kobayashi's Samurai Rebellion (1967) – Senses  of Cinema

 

Solo applausi per lo stile di regia di Masaki Kobayashi, un maestro che ad ogni visione mi appare un degno pari di colossi del cinema nipponico classico quali Kurosawa e Mizoguchi. Più semplice nella trama rispetto ai disvelamenti e ribaltamenti delle apparenze di Seppuku, stilisticamente è comunque un film complesso: ho amato l'articolata bellezza del doppio flashback ove Yogoro racconta al padre della conversazione avuta la sera prima con la moglie, che a sua volta contiene al suo interno il secondo flashback del racconto di Ichi sul proprio passato. I movimenti di macchina di Kobayashi sono sempre pregni di significato, l'accurata composizione delle inquadrature studiatissima nel disporre sapientemente i personaggi nelle architetture geometriche delle case e dei giardini, la messa in scena austera e rigorosa, di derivazione teatrale fino ad esplodere nel dinamismo del combattimento finale tra le spighe.

 

 

 

 

 

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