Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film
Nel Giappone feudale ed in crisi attorno alla prima metà del '600, con il venir meno di alcune piccole signorie e la ciacciata dei vecchi padroni feudali, una serie di samurai, fino a quel momento al servizio dei potenti al comando, si riduce a dover rimettere in discussione ognuno la loro vita e la rispettiva professione, vagando di città in città alla ricerca di una possibilità di ricollocamento nella vita civile.
Questi samurai decaduti, noti in gergo come "ronin", talvolta colti dalla disperazione, vengono predisposti a compiere il rito del "seppuku", ovvero del sacrificio-suicidio a mezzo auto-squartamento dell'addome, secondo l'antica e nobile prassi prevista per i guerrieri.
Alcune volte però questi stratagemmi vengono anche utilizzati da individui decisamente meno nobili per tentare di attirare l'attenzione su di sé e spingere qualche uomo ricco ad assumerli per scongiurarne la morte.
Il giorno in cui l'austero ronin Hanshiro Tsugumo si presenta presso una potente famiglia nobile per chiedere che gli venga concesso il privilegio di togliersi la vita tramite il rito sacro, un intendente, che lo accoglie in nome del padrone di casa, gli racconta un recente episodio occorso al giovane Morome Chijiiva, che presentatosi come lui alla casa per domandare di venire ammesso al sacrificio, ricevette tutte le autorizzazioni del caso, per poi ripensarci ed essere costretto comunque a procedere al sacrificio utilizzando la sua spada di bambù, dandosi la morte con difficoltà ed estreme inutili sofferenze.
Ma il vecchio samurai non si scompone dinanzi al racconto, e capiremo bene i motivi di tutto ciò.
Senza entrare infatti nei particolari, che svierebbero inutilmente la sorpresa ed anticiperebbero il fulcro centrale della storia, si può anticipare che i motivi che guidano l'anziano e risoluto ronin sono dettati da un piano di vendetta che poco per volta, tramite lunghi, splendidi flashback organizzati con una maestria sbalordente, il gran regista giapponese Masaki Kobayashi finisce per svelare allo spettatore, rendendolo osservatore privilegiato di una storia di riscatto e di orgoglio organizzata e realizzata con la risolutezza di chi non ha più nulla da perdere, ma ha ben chiari i motivi che lo hanno ricondotto alla disperazione, conoscendone alla perfezione cause e colpevoli.
Harakiri, tappa fondamentare e miliare nella carriera non sterminata ma densa di film eccezionali, come appare la carriera e la relativa produzione artistica di Kobayashi, è un raffinato capolavoro senza mezzi termini, denso di argomentazioni e di implicazioni, che spaziano su tematiche etico esistenziali che vanno ben al di là della mera vicenda costruita e raccontata con grande ispirazione.
Si trattano tematiche dense di interrogativi morali, come il prezzo di una vita umana, il valore della famiglia e l'orgoglio di sacrificare per essa tutto se stesso; ma anche la corruzione del potere; la furbizia che anima gli stolti e spesso li fa primeggiare a danno degli onesti.
Oltre a ciò il film presenta una stesura narrativa impeccabile, solida, in grado di tener desta l'attenzione dello spettatore, che si immedesima nei fatti superando con agilità le complessità legate ai numerosi e lunghi flashback, invero distribuiti con precisa linearità ed in modo da far scorrere il racconto con totale fluidità, svelando i particolari del diabolico intrigo senza mai risultare macchinoso o contorto.
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