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Harakiri

Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film

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La recensione su Harakiri

di OGM
10 stelle

Il cosiddetto “onore” dei samurai non è altro che un’etichetta disumana ed insensata, che costringe a versare il sangue proprio ed altrui in nome di un sistema di regole puramente formali. Il codice degli antichi guerrieri giapponesi uccide sia chi vi si assoggetta ciecamente, sia chi, consapevolmente, vi si sottrae, magari perché spinto da un grave stato di necessità materiale (come Motome Chijiwa) o perché animato da profondi motivi affettivi e morali (come suo suocero Tsugumo). Kobayashi contesta il bieco militarismo feudale piazzando il proprio sguardo al centro del mondo a cui esso appartiene, rispettando l’ambientazione, l’atmosfera e la dialettica di film come “La vendetta dei 47 ronin”. L’epoca e lo scenario sono gli stessi: il tutto si svolge nel Seicento, nel periodo dello shogunato autoritario, tra le mura di un palazzo nobiliare, e portatore della contestazione è proprio un vecchio samurai. La ribellione avviene dunque dall’interno, secondo il linguaggio e i riti  tipici della tradizione; però, contrariamente a quanto accade nel film di Mizoguchi, la reazione questa volta è individuale e non violenta, ed è destinata alla sconfitta solo perché proveniente da una voce debole e isolata, in un momento in cui la struttura feudale è ancora  ben salda. 

Nel dialogo, che, ancora una volta, gioca il ruolo preminente, si manifesta il confronto tra due realtà antitetiche: se i rappresentanti dell’autorità imperiale si esprimono per formule precostituite, attinte al cerimoniale di corte, il protagonista, invece, usa le parole per raccontare la sua esperienza di uomo e padre, in cui la spada è solo un inutile accessorio.  Il tono, su entrambi i fronti, ha però sempre la pacata nitidezza della razionalità, dettata da una parte da un anodino senso del rigore, dall’altra parte da una solida coscienza etica, sorretta da un’incrollabile forza d’animo. 

Il lamento inascoltato ed il sacrificio personale tacitato dalla ragion di stato esprimono un pessimismo storico che sembra precludere la strada al pacifismo:  il richiamo all’umanità finisce per infrangersi contro i bastioni del potere, che oppongono ad ogni tentativo di rivolta le letali armi della repressione.

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