Regia di Miklós Jancsó vedi scheda film
Affascinante rivisitazione del mito degli Atridi da parte del maestro del cinema ungherese Miklos Jancso’, rielaborato nella sceneggiatura dal suo abituale collaboratore Gyula Hernadi e basato su una tragedia di Laszlo Gyurko. E’ un film divenuto molto raro, tanto che l’unico modo per visionarlo è stato quello di scaricarlo dalla rete con sottotitoli in inglese. Scandito in una dozzina di piani-sequenza molto lunghi ma estremamente fluidi, il film si fa ammirare sia per la prodezza stilistica e la sapienza delle composizioni figurative, sia per le atmosfere sospese fra un “happening” e canti e balli che fanno pensare ad una sorta di musical rivoluzionario. In alcune scene i dialoghi sono piuttosto fitti e vanno seguiti con attenzione, in altri momenti-chiave il film è quasi muto oppure si affida interamente alla coreografia e alla pantomima. La fotografia a colori è suggestiva, i movimenti di macchina sinuosi e avvolgenti come nei migliori film del regista, i movimenti degli attori e delle comparse si fondono armoniosamente; a tratti può pesare qualche scoria intellettuale, soprattutto per gli spettatori non preparati in precedenza allo stile del regista e alla materia narrativa (ad esempio nel finale in cui si racconta la storia di un uccello di fuoco che rinasce dalle proprie ceneri, per esprimere l'importanza della rivoluzione come atto liberatorio). Come in “L’armata a cavallo” o “Salmo rosso”, anche qui vi sono nudi sia maschili che femminili a profusione, ma personalmente non li ho trovati gratuiti o sensazionalisti, in quanto parte integrante di una poetica ben precisa. La fulva Mari Torocsik è una presenza carismatica, dai lineamenti gradevoli ma anche molto espressivi e regala un’ottima performance di Elettra; al suo fianco spiccano altri volti noti del cinema di Jancso’, soprattutto Josef Madaras nel ruolo del tiranno Egisto e Lajos Balaszovitis, che negli stessi anni fu protagonista anche di “Milarepa” di Liliana Cavani, e sembra fosse molto stimato anche da Pasolini. Presentato a Cannes nel 1975, non ricevette alcun premio, in maniera certamente discutibile, ma fu molto amato dalla critica italiana, in particolare da Ugo Casiraghi, Giovanni Grazzini e Tullio Kezich.
Voto 9/10
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