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Il dono

Regia di Michelangelo Frammartino vedi scheda film

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La recensione su Il dono

di steno79
7 stelle

Recentemente ho visto al cinema il film "Il buco" di Michelangelo Frammartino, ne ho apprezzato notevolmente la bellezza pittorica delle immagini e mi sono procurato e visto anche le sue opere precedenti. Questo "Il dono" è il suo primo lungometraggio, girato nel 2003 con una somma irrisoria dal regista esordiente, che proveniva da studi di architettura e che per la prima volta filmava nel paese originario di Caulonia in Calabria, che sarebbe diventato l'ambientazione fissa dei suoi film successivi. Si può dire che tutto il suo cinema é già contenuto, in nuce, in questa prima pellicola, che però delle tre completate da Frammartino mi sembra comunque quella più difficile da apprezzare fino in fondo. Innanzitutto bisognerebbe partire dal dato per cui il film è una sorta di ibrido fra documentario e film di finzione, visto che qui una pur flebile traccia narrativa c'è, con il vecchio, che poi sarebbe il nonno del regista, novantenne all'epoca delle riprese, che vive solitario in campagna, ossessionato dal telefonino e dalla foto pornografica, e decide di fare un dono alla ragazza disagiata che viene abusata dagli uomini del paese in cambio di passaggi in macchina per agevolare i suoi spostamenti. Questa sorta di "trama" è veramente molto esile, e lascia volutamente dei margini di ambiguità dato che molti particolari non vengono spiegati ma sono lasciati all'intuizione dello spettatore, che deve rimettere insieme i pezzi del puzzle. L'interesse del regista è anche qui legato alla costruzione di elaborati tableaux, spesso in piano sequenza, in cui prevale la staticità e che riprendono il paesaggio e diversi aspetti della vita paesana, dando comunque un'impressione di decadenza, abbandono, solitudine e anche malessere. A mio parere la qualità delle immagini e della fotografia é certamente buona, ma non ai livelli di eccellenza de "Le quattro volte", e in termini di contenuto il film lascia un po' spaesato lo spettatore che si aspetterebbe qualcosa di più strutturato e definito, mentre é tutto molto vago (in una delle scene in cui le vecchie del paese somministrano riti anti-malocchio alla ragazza, una vecchia a un certo punto si mette a ridere, e vai a capire tu il senso della risata... vuole smontare l'importanza del rito pagano, o semplicemente non è riuscita a trattenersi?) E anche il finale, in cui ho colto una voluta citazione de "Il sapore della ciliegia" di Kiarostami, sembra fatto apposta per lasciare chi guarda nel dubbio, un finale aperto di cui ugualmente non si arriva del tutto a capire il senso. 

Voto 7/10

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