Regia di Jacques Demy vedi scheda film
Les Parapluies de Cherbourg ha lo spessore di una piccola operetta lirica. Che appartenga al cinema però è indubbio, e lo si lascia intendere già dal primo dialogo cantato (come lo sono tutti) tra gli armadietti dell’officina dove abita il povero meccanico Guy. Non solo, ma in quella sequenza come in altre (indimenticabili le carrellate del sogno di Roland) la telecamera ha la funzione fondamentale di accompagnare le note per ampliarle e trasformarle, effettivamente, in immagine ed evento narrato. Molto “français” benché lo si accosti necessariamente ai musical hollywoodiani, il film di Jacques Demy racconta in maniera né ottimistica né pessimistica il fallimento di un amore giovanile. Non portano a nulla le osservazioni della madre di Geneviève, che pure è convinta che la figlia non sappia davvero cos’è l’amore: il sentimento fra i due protagonisti c’è stato e permarrà, sarà chiave di lettura delle loro esistenze future. L’aspirazione a dimenticarlo (e a dimenticarsi a vicenda), com’è ovvio, occupa il tempo che trova, considerando anche la portata dell’impossibilità di quell’amore: anche da un punto di vista sociale (e viste anche le pretese economiche della madre di Geneviève), i due non avrebbero potuto permettersi di stare insieme, visto che qualunque giovane ragazza deve senza dubbio aspirare a un uomo ricco e ben vestito come può essere proprio Roland. Ma mentre ai due protagonisti viene imputata, nonostante la loro innata bontà, la colpa della disattenzione e dell’impazienza (rispettivamente la gravidanza indesiderata e l’impossibilità di attendere da parte di Geneviève), i personaggi di contorno che pure li ostacolano non sono per nulla “negativi”: la madre vuole in fondo il bene della figlia, a costo di sacrificare la sua vita (come probabilmente fece in gioventù: Geneviève, in questo senso, passa da un certo egoismo sentimentale a un altruismo necessario); Roland è sì una sorta di ricettatore o di rivenditore di gioielli non sempre veri, ma ha ben presente in mente il sentimento d’amore provato in gioventù per qualcuno e riproposto nei confronti di Geneviève; Madeleine si occupa della zia di Guy e si rivela sempre premurosa e capace (diversamente da Geneviève) di attendere Guy. Dunque lo sguardo (dis)incantato di Demy non condanna né protegge, i suoi personaggi pulsano di emozioni come in ogni buona opera lirica, benché “le cinéma, c’est mieux!” (come dice un meccanico amico di Guy). E nella successione temporale scandita dai mesi e dagli anni, tra attese impossibili, sentimenti sopiti, speranze sepolte e adeguamenti a convenzioni sociali che come al solito stroncano la vita per riproporne, comunque, un’altra, anche se meno desiderata, si arriva al finale di questo piccolo capolavoro del musical, una fine tutt’altro che lieta che risuona sempre del sentimento del passato, del tempo trascorso e dell’ancora viva emozione che provano i due protagonisti. Cosicché il finale possa risultare, oltretutto, fra i più strazianti e dolorosi nella storia del musical. Sempre che si accetti che i protagonisti cantino tutt’il tempo: a difesa del film di Demy, ci si abitua talmente ai recitativi pronunciati che alla fine la storia non sarebbe la stessa (e non sarebbe tanto bella) in assenza di quegli stessi!
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