Regia di Jacques Demy vedi scheda film
Anche cinquant’anni fa poteva sembrare un film quantomeno azzardato: nessun dialogo parlato, solo cantato. Tre movimenti: l’idillio amoroso tra Geneviève (una giovane e già stupenda Catherine Deneuve), figlia di una venditrice di ombrelli vedova e in guai economici (meravigliosa Anne Verdon da premio), e Guy (l’interpretazione più sorprendente di Nino Castelnuovo), meccanico cresciuto con una vecchia zia, presto interrotto perché lui va sotto le armi in Algeria (La partenza); lei si scopre incinta e alla fine convola a nozze con un diamantista scelto dalla madre pur pensando sempre all’amato sotto le armi (L’assenza); cinque anni dopo, si rincontrano.
Con questo film anomalo e prezioso, Jacques Demy fa il colpaccio della vita. Non solo mette in scena quello che a tutt’oggi resta probabilmente il più bello ed originale musical della cultura europea, puntellato da musiche che rispondo agli stati d’animo dei personaggi che con estrema naturalezza si adeguano al canto come cifra essenziale ed esistenziale (e poi, come dirà in seguito il caro François Truffaut, “le canzoni più sono stupide e più sono vere”, in omaggio a Edith Piaf), ma riesce ad imbastire una clamorosa operazione di cinedécor estremamente intelligente: Cherbourg parla da sé, con i suoi palazzi dalle mattonelle artistiche e il porto dalla notoria evocazione malinconica, ma sono stupefacenti il lavoro scenografico e i costumi (che è anche di responsabilità diretta dell’autore) nel negozio di ombrelli e nella casa di Geneviève (ah, tra l’altro, dialogo da antologia: c’è una scena in cui la madre presenta il buon partito alla figlia come se fosse uno degli ombrelli del negozio e la madre, di tutta risposta, dice che sarà come un ombrello perché la proteggerà) con la tappezzeria pimpante e vistosa ma anche nella casa di Guy (i suoi giochi d’infanzia) o nel bar in cui si dicono addio (roba da Degas, ma d’altronde c’è impressionismo ovunque).
Fotografato in maniera splendida, con piogge veritiere che conferiscono una dimensione romantica non indifferente (e la neve finale, al distributore della Esso che sta a simboleggiare la fine di un’era più intima e dignitosa), è un autentico classico capace di coinvolgere sempre non tanto per le musiche (non c’è un tormentone, ma un’attenzione complessivamente costante) quanto proprio per la sua storia banale ma bellissima, semplice ma appassionante. Un piacere, una gioia, un capolavoro da riscoprire.
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