Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
VOTO: 8,25 su 10
Durante un rito di lavanda dei piedi del giovedì santo, il ricco e devoto possidente di Città del Messico Francisco Galván de Montemayor (Arturo de Córdova) viene catturato dal fascino di una ragazza presente in chiesa: è Gloria (Delia Garcés), già fidanzata con un suo amico, l'ingegnere Raúl (Luis Beristáin). Francisco, inviatili con un pretesto ad una festa in casa sua, farà di tutto per conquistare la donna di cui si è invaghito in un vero e proprio colpo di fulmine. La parte centrale del film è un lungo flashback del racconto di Gloria a Raúl: quando i due tempo dopo si rincontrano, scopriamo che lei ha sposato Francisco, ma è attualmente in fuga dalla follia paranoica che è costretta a subire fin dalla luna di miele. Nonostante tutto si convincerà a rientrare dal marito, per subire ulteriori abusi psicologici e fisici, finché un'aggressione notturna del marito intenzionato addirittura a mutilarla la convincerà a lasciare definitivamente quella casa.
Opera del fruttifero periodo messicano di Luis Buñuel, rappresenta uno splendido saggio (con inediti influssi thriller hitchcockiani) sulla follia e la paranoia che crepano una superficie di apparente rispettabilità alto-borghese.
La sprovveduta Gloria poteva forse carpire un indizio della contorta mente del marito nella descrizione che, la sera della festa, viene fatta del salone del suo fastoso palazzo art nouveau, ideato dal padre in uno stile che “non sembra essere stato concepito dalla ragione, ma dal sentimento, dalle emozioni, dall'istinto”, nonostante il prete assicuri che l'estroso genitore era “tutto il contrario di Francisco, che è perfettamente normale e sensato“.
Invece lo scambia per un romantico passionale finché, già durante la luna di miele a Guanajuato, comincia a emergere la gelosia patologica dell'uomo, che si auto-convince che un conoscente della moglie incontrato per caso stia ridendo di lui e facendo avances a Gloria, addirittura che li segua in albergo per spiarli. Dopo aver ficcato uno spillone nella serratura della porta, indifferente al rischio di accecarlo se fosse stato veramente appostato a spiarli, va a bussargli in camera e lo aggredisce a sberle.
Il ritorno a Città del Messico è una discesa progressiva in una spirale di abusi, con continui sbalzi d'umore e accessi paranoici dell'uomo. Gloria è vittima delle sue manipolazione psicologiche e non riesce a decidersi a separarsi. A momenti pare riavvicinarsi con tenerezza alla moglie, per poi improvvisamente rivoltarsi rabbioso contro di lei; la incoraggia ad intrattenere il suo avvocato durante una festa per poi aggredirla con la sua gelosia; insiste perché la moglie gli riveli il suo maggior difetto, perché “nessuno è perfetto”, per poi ovviamente offendersi quando glielo dice, perché quello di essere ingiusto è l'unico difetto che non accetta di vedersi imputato; addirittura addossa a lei la colpa dei disastri generati dalla sua follia. L'uomo è ossessionato anche da una causa legale, in cui ritiene di essere vittima di un'ingiustizia che lo priverebbe di proprietà che gli spettano di diritto. La fama di rispettabilità sociale di Francisco fa sì che nessuna delle persone a cui Gloria si rivolge in cerca di aiuto le dia credito, né la madre, né il prete che lo difende come esempio di buon cristiano, persino Raúl la riporta una prima volta alla dimora coniugale.
Buñuel, aiutato dall'ottima interpretazione di Arturo de Córdova, sa rendere spaventosa l'ossessione maniacale del protagonista, inquietante quando la notte sbatte compulsivamente una sbarra metallica sulla scalinata, disturbante nella scena in cima al campanile, dove Francisco dà prova della sua spietata misantropia (“lì c'è la tua gente, da qui si vede chiaramente quello che sono: vermi che strisciano sulla terra. Viene la voglia di calpestarli con il piede!”), per poi dare alla moglie una dimostrazione di quanto sarebbe facile scaraventarla di sotto. L'autore sottolinea pure il feticismo sessuale per piedi e scarpe, nella scena iniziale col prete che indugia morbosamente sui piedi dei chierichetti durante la lavanda e poi la macchina da presa segue lo sguardo di Francisco che, notate le scarpe col tacco di Gloria, risale la sua figura.
Tra le chicche registiche di Buñuel: alla festa Francisco e Gloria si avvicinano alla finestra e noi, come se fossimo al di là del vetro, li vediamo muovere la bocca ma non sentiamo cosa dicono. E poi soprattutto la discesa finale nella follia, quando Francisco ormai abbandonato dalla consorte, insegue fino in chiesa un'altra coppia, convinto siano lei e Raúl, con l'intenzione di ucciderli. In chiesa è quindi preda di allucinazioni visive e uditive che riconducono alla sua fobia ricorrente che gli altri ridano di lui. In questa scena Buñuel alterna magistralmente le immagini della realtà, con la gente assorta in preghiera, con quelle allucinatorie degli stessi fedeli che lo additano scompisciandosi dalle risa, risa il cui sonoro accompagna in maniera dissonante anche le immagini reali; il folle finirà per aggredire proprio il prete che lo ha sempre difeso, credendo che persino lui lo sberleffi.
Questo anche perché in un film di Luis Buñuel non possono mai mancare le frecciate anticlericali. Nell'ultima scena ritroviamo Francisco, dopo un ricovero psichiatrico, come monaco ritiratosi in un convento, dove pare aver trovato finalmente la pace. Ma un'inquietante camminata a zig zag non lascia esattamente tranquilli.
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