Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Il demone buñueliano è il pungolo dell’eccesso, che può colpire i costumi, la morale oppure, come in questa storia, l’operato della ragione. La pazzia di don Francisco, infatti, altro non è che una forma esasperata di sensibilità, che trasforma le paure in effettive percezioni. La sua mania di possesso è una reazione al terrore della perdita, all’invasione del proprio territorio da parte di un rivale che potrebbe defraudarlo. L’esproprio dei suoi beni immobili lo assilla come il timore di vedere la sua donna tra le braccia di un altro uomo. Egli si sente esposto all’altrui ostilità, e questo lo rende ipervigile, pronto a cogliere, in ogni evento, i segni che preludono ad un’aggressione. Analizzare troppo a fondo equivale, a volte, a deformare; e a voler interpretare tutto ad ogni costo si finisce spesso per scambiare per deduzioni quelle che sono solo soggettive congetture. L’abuso della logica, che conferisce concretezza alla speculazione, conduce al suo opposto, ossia ad una fantasia patologica che si sostituisce all'esperienza sensoriale creando, dal nulla, significati inesistenti ed arbitrari. In noi è presente una dimensione ideale che tendiamo istintivamente a sovrapporre alla realtà, senza che, tuttavia, ciò valga veramente a modificarla: i nostri atteggiamenti mentali sono in continuo attrito con il dato di fatto, che è, su di essi, eternamente vincente. La perversione nasce da ciò che ci inventiamo, fingiamo o nascondiamo, nella sfera pubblica o privata, nell’amore o nella religione: la vita della società diventa così un insulso gioco a rincorrere gli altrui fantasmi, tenendo però ben al riparo i propri. È forse questa l’origine comune dell’incomunicabilità e dell’ipocrisia, che, in tutte le opere di Luis Buñuel, distorcono irrimediabilmente i rapporti umani.
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