Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
In questo film (1952) Buñuel disegna lo sfondo del Messico con un insolito approccio politico-antropologico, rappresentando i riti suggestivi delle tradizioni religiose, che la Chiesa, con la collaborazione attiva dei notabili locali, custodisce.
Si sta svolgendo – è il giovedì santo – il lavacro dei piedi dei bambini: i dignitari laici, fasciati delle insegne dell’Ordine del Santo Sacramento, aiutano l’officiante durante la cerimonia, versando l’acqua per risciacquare i piedini che, accuratamente asciugati, egli avrebbe accarezzato e baciato.
La macchina da presa del regista, seguendo lo sguardo di Francisco Galvan de Montemayor (Arturo de Córdova) slitta verso un’altra fila di piedini, ovvero verso le elegantissime scarpine che li calzano: appartengono alle fanciulle della buona società che assistono alla cerimonia, ne attirano l’attenzione un po' morbosa, quasi feticistica, che sembra smentire la compunzione con la quale, poco prima, egli aveva versato l’acqua.
Di questo giovanotto, con mirabile sintesi narrativa, il regista disegna il personaggio: un gradevole aspetto; un comportamento religioso ineccepibile (come dirà più tardi il suo confessore sottolineandone la verginità prematrimoniale); un nobile avviato al declino economico, ma convinto assertore del suo “naturale” diritto di proprietà, per assicurarsi il quale sta pagando i migliori avvocati.
L’integerrimo gentiluomo ancora illibato è convinto che anche l’amore rientri fra i diritti di proprietà maschile: secondo lui, infatti l’amore nasce allorché una visione improvvisa realizza l’aspirazione – perseguìta fin dall’infanzia – a un legame unico e assoluto, cui lei non potrà che adeguarsi.
Gloria (Delia Garce), la sventurata proprietaria di quelle scarpine galeotte che lo avevano affascinato, dunque, fatalmente diventerà – che lo voglia o no – una sua proprietà.
Al feticismo e alla gelosia, connotati deliranti e patologici di Francisco, si affiancherà, in seguito, l’orgogliosa rivendicazione della propria centralità egotistica, unita al disprezzo per il resto dell’umanità.
Tutte le vicende che il film ci racconta, dal rapporto tempestoso con la dolce e remissiva Gloria, alla vita di coppia resa infernale dal sospetto, si collocano in un quadro di benevola comprensione collettiva: l’ideologia del possesso del gelosissimo Francisco è largamente condivisa nel mondo arretrato in cui egli si muove.
Il colpo di fulmine, dunque, trasformato in naturale ed esclusivo diritto di proprietà, così come l’orgoglio per i meriti degli avi, confuso con il diritto a possedere le terre che avevano abitato, danno il quadro di un uomo affetto da una evidente distorsione percettiva, sintomo di follia paranoica, ossessione crescente e, infine, allucinata e pericolosa mania di persecuzione, che lo porta a scivolare inarrestabilmente verso il delitto…
Il film contiene alcune scene memorabili del cinema di Buñuel, che sottolineano gli aspetti grotteschi dell’agire malato del protagonista: l’ago ricurvo che egli infila nella serratura della stanza d’albergo, per accecare il presunto voyeur che starebbe spiando l’amplesso con Gloria; la predisposizione meticolosa di tutti gli strumenti per attuarne l’infibulazione; il progressivo accentuarsi della sua mania di persecuzione che ha il suo acme all’interno della chiesa, quando si materializzano i fantasmi ossessivi della sua mente in un crescendo di allucinazioni…
L’epilogo famoso – l’ondivago e incerto camminare lungo il sentiero del convento in cui l’uomo ha ormai scelto di vivere – purtroppo, non ci rassicura affatto circa la sua avvenuta guarigione.
Una grande regia per un film insolito, che – come ricorda lo stesso Buñuel nelle sue memorie – fu proiettato dalla Cinémathèque parigina per 53 psichiatri, alla presenza di Jacques Lacan, che particolarmente ne apprezzò la verità umana e "clinica", consolando il regista dell’incomprensione che aveva accolto il film alla sua uscita.
Racconto teso e sferzante contro il bigottismo ipocrita col quale i maschi e la chiesa messicana intendevano l’amore e la castità, ma anche contro l’arrendevolezza rassegnata delle donne, per molte delle quali, compresa Gloria, subire e soffrire appaiono la condizione stessa dell’esistenza femminile.
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Recensione pubblicata su Mymovies il 26 agosto 2011, rielaborata e riscritta per questo sito
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