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Las Hurdes

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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La recensione su Las Hurdes

di alan smithee
8 stelle

IMPULSI BUNUELIANI

Terzo film di Luis Bunuel ed unico vero approccio al genere documentaristico da parte del celebre cineasta spagnolo. Reduce dagli infuocati contraccolpi che un film dissacrante e decisamente forte come L'age d'or suscitò nelle sale francesi, al punto da venir ritirato dalla distribuzione solo dopo pochi giorni di programmazione, Terra senza pane (Las Hurdes), è un reportage che il nostro Bunuel compie con la collaborazione del suo amico anarchico Ramon Acin, in una zona geografica pressoché sconosciuta della Spagna, ancorché non molto distante da città "evolute" e civilizzate come Salamanca.

Bunuel e la sua esile troupe si trova a passare per un opulento villaggio che demarca la fine del mondo civilizzato in quelle zone: ivi sono coinvolti nella documentazione di un rito pagano assai efferato che gli abitanti del posto sono soliti inscenare in prossimità delle nozze di qualche coppia di giovani della buona società: i maschi più arditi si sfidano a cavallo dei loro asini, ad acchiappare alcuni poveri galli appesi a gambe in giù ad una corda: vince chi riesce a strappare la testa al povero animale.

Tutto intorno il regista ed i suoi uomini notano agiatezza ed opulenza, che si traduce in case nobiliari con effigi che richiamano passi del Vangelo, una chiesa in stile romanico assai ben tenuta e di grandi proporzioni, bambini e neonati agghindati a festa e ornati di monili ed oggetti in oro.

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Sulla strada per i villaggi de Las Hurdas, circa una cinquantina di piccoli borghi, il territorio si inasprisce ed inselvatichisce chilometro dopo chilometro, fino a condurre i nostri pionieri verso villaggi rurali situati in zone geograficamente inaccessibili se non a piedi, abitati da una umanità ridotta alla miseria più totale: condizioni igieniche del tutto precarie, cibo che nei mesi di maggio e giugno spesso riduce la popolazione a raccogliere erbe selvatiche; acqua ingerita senza la verifica di nessuna contromisura sanitaria di base. Ne derivano malattie congenite come gotta e malaria, ed una mortalità infantile oltre ogni statistica presente negli altri centri spagnoli.

La voce narrante cerca di mantenersi al di fuori da ogni considerazione umana, ma l'approccio del regista si nota soprattutto quando si ripensa alle condizioni di opulenza che contraddistinguevano i villaggi più prossimi a questi poveri ed indigenti. Uno tra questi, dai tetti in pietra accostati l'uno all'altro osservando differenti pendenze, ricorda nella sua morfologia il carapace di una testuggine: al suo interno Bunuel riprenderà le condizioni di salute precarie di una bimba in lacrime, bocca piagata e male al ventre, morta solo due giorni appresso, e la morte di un neonato, vittima delle condizioni di degrado di un popolo pieno di bimbi piccoli, molti dei quali adottati dai paesi vicini al solo scopo di garantirsi, da genitori adottivi, una pensione di pura sopravvivenza, non certo in grado di sostenere anche i piccoli adottati.

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Bunuel non rinuncia a rappresentare la morte in tutta la sua sconvolgente crudezza, sia essa quella che la sorte disegna per i poveri bambini di quelle terre desolate, solo fino a qualche anno prima totalmente allo scuro della esistenza di cibo come pane e derivati del grano, sia degli animali vittime di incidenti causati dall'infausta anatomia dell'accidentato territorio (le capre selvatiche che talvolta precipitano dalle rupi divengono una delle rare occasioni per gli abitanti di raccoglierne i corpi per cibarsi delle relative carni, mentre un povero asino carico di arnie di quel miele amaro prodotto nella zona, viene quasi divorato dallo sciame di api fuoriuscito da uno dei contenitori, precipitato a terra accidentalmente.

Un film sofferto, questo Las Hurdes, in cui la drammaticità della materia documentata viene ad aggiungersi sia alle impervie condizioni in cui il film dovette essere girato, sia alle difficoltà legate a quel periodo piuttosto tormentato della vita di Bunuel, in quel complesso e torvo inizio anni '30, in cui il cineasta in parte godeva della fama e dei clamori suscitati dai suoi due provocatori film d'esordio (Le chien andalou e L'age d'or), ma risentiva anche delle difficoltà di ricevere finanziamenti proprio a causa dell'atteggiamento dissacrante che contraddistingueva l'autore nei confronti di istituzioni come la famiglia, lo Stato, la Chiesa.

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Le vicende produttive, legate anche ai tragici destini del fido produttore e letterato Ramon Acin, qui in veste di produttore, giustiziato dai franchisti come un traditore anarchico a poca distanza dalla amata consorte, e per decenni obbligatoriamente cancellato dai titoli del film, segnarono anche nell'umore e nella coscienza lo stato mentale e psicofisico dell'autore, già sensibilmente provato dalle proprie esperienze di vita familiari influenzate molto dalla rigidità del carattere paterno. 

Ma permisero tuttavia al film di brillare come un esemplare schietto e duro, ma anche accorato e partecipe, di una condizione di vita che non poteva non essere portata alla luce e alla sensibilità di una società avviata verso un generale progresso tecnologico inarrestabile: uno specchio narrativo schietto e senza fronzoli, volto a delineare i drammatici tratti di una realtà dimenticata o trascurata da tutto e da tutti.

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