Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
La gente primitiva ritratta da Buñuel, immersa nella miseria di una regione preistorica, non sembra un popolo, ma solo un rimasuglio di umanità, una scoria della sopravvivenza: con i suoi tetti a scaglie di tartaruga ed i suoi pavimenti fatti di foglie selvatiche, è come un'incrostazione sulla terra pietrosa ed aspra di Las Hurdes. Le menti chiuse dall'ignoranza e dalle tare ereditarie, ed i corpi graffiati dall'artiglio delle malattie non restituiscono figure d'uomini, ma solo ombre aggrappate con mani e piedi al suolo, che annaspano alla ricerca di acqua, o per rivoltare zolle, o semplicemente, sono piegate dalla stanchezza e dalla sofferenza fisica. La loro prostrazione è l'immagine della dignità negata, della privazione di ogni dimensione morale o intellettuale, della stessa possibilità di scegliere, programmare o desiderare, ossia di tutte le prerogative che sollevano gli esseri dallo stato animale. Per gli abitanti di quel remoto angolo della Spagna di settant'anni fa, l'attività primaria non è costruire, bensì scavare, e strappare alla natura, anziché coltivare. La patata sostituisce un pane che nessuno sa produrre, e le bestie sono compagni di letto e coinquilini, più che risorse ed ausili di lavoro. L'abito è un manto che si cambia una volta all'anno, con la muta. La chiesa è l'unico isolotto di ricchezza, e la scuola l'unica finestra aperta sulla civiltà: una ricchezza ed una civiltà che, per questa gente, non rappresentano un progresso a cui aspirare, ma soltanto un mondo lontano e sconosciuto a cui occasionalmente attingere elemosine e piccole prestazioni di servizi. Il parassitismo umano è il vero tema di questo documentario: un fenomeno infinitamente degradante, col quale la povertà si spoglia di quel decoro spirituale che la rende santa.
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