Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Cinema puro. Robert Bresson può essere considerato un entomologo della Settima Arte, caratteristica che confermerà tre anni dopo con “Pickpocket”. Il racconto tutto in soggettiva impone allo spettatore, purché accetti il gioco, di immedesimarsi totalmente con il protagonista, il tenente Fontaine, imprigionato dalla gestapo per la sua appartenenza alla Resistenza. La sua voce fuori campo è fondamentale in un contesto carcerario nel quale l’ossessione dei secondini nazisti è impedire ai detenuti di comunicare tra loro. Non meno essenziale è seguire giorno dopo giorno l’evolversi di un piano di evasione a prima vista impossibile, ma che si viene costruendo attraverso l’attenta osservazione dell’ambiente in cui ci si trova, lo studio meticoloso del poco materiale a disposizione, il paziente e interminabile lavoro manuale che il progetto impone. Anche se moralmente appoggiato e incoraggiato dai suoi compagni di sventura, Fontaine è solo. Solo nelle innumerevoli ore trascorse a grattare legna, intrecciare strisce di stoffa, piegare fil ferro e nel frattempo pensare, progettare, sperare e disperare. L’azione sta tutta nella routine quotidiana, ogni giorno è uguale al precedente, ma ogni giorno qualche cosa di impercettibile cambia, va avanti, si sviluppa. Lo spettatore, purché sia riuscito ad immedesimarsi con il protagonista di un film necessariamente lento e meticoloso, non può che restare soggiogato da questa grande avventura umana cinematograficamente impeccabile.
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