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Un condannato a morte è fuggito

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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La recensione su Un condannato a morte è fuggito

di Peppe Comune
10 stelle

Questo film di Robert Bresson è tratto dalla storia vera di Andrè Devigny (Lieutenant Fontaine nel film, interpretato da François Leterrier), un'esponente della resistenza francese che venne arrestato e rinchiuso nella prigione fortezza di Montluc. La pena che gli venne comminata fu la condanna a morte. Un motivo ulteriore per cercare di evadere e prendersi gioco della follia omicida dei carcerieri nazisti attraverso la meticolosa ricerca della propria calma interiore, la sola arma capace di restituire quella libertà del corpo e dell'animo contro ogni forma di oppressione terrena.

 

 

Ne "Un condannato a morte è fuggito" il celeberrimo "rigore bressoniano" arriva a farsi scientifico tanto sono aderenti i movimenti (minimi) di macchina con l'angustia degli spazi (stretti) e tanta è circostanziata la rappresentazione del modo con cui Fontaine entra in rapporto simbiotico con tutto ciò che è funzionale al suo progetto di fuga. Sappiamo dalle sue parole che la cella in cui è rinchiuso è tre metri per due, perchè ciò che ci viene mostrato da Bresson sono solo le pareti, il pagliericcio, la grata di ferro, la porta. Solo i particolari interessano, quelli focalizzati dagli occhi e dalla mente di Fontaine, tutto ciò che è inutile al suo scopo va ignorato con estrema cura. Tutto è ridotto all'essenzialità dell'azione e alla sacralizzazine del tempo dell'attesa : il cucchiaio pazientemente levigato sul pavimento per farne una pialla da usare per scalfire gli interstizi della porta, la raccolta delle piccole schegge di legno per mimetizzarne le fessure, l'intrecciare continuo di strisce di stoffa per farne delle corde resistenti. Sono tutte azioni che fanno il mestiere di vivere di Fontaine, l'arte di obliare la morte attraverso la cura certosina di ogni più piccolo particolare. Il suo lento lavorio scandisce il trascorrere di giornate sempre guali e la volontà di sfuggire alla morte è pari alla paura di essere scoperto. Per questo l'attenzione dimostrata verso tutto ciò che è necessario per il raggiungimento del fine superiore deve essere la medesima che occorre dimostrare verso tutto quello che, essendo superfluo, può vanificare giorni e giorni di attenta devozione a uno scopo. Per questo il condannato a morte di Robert Bresson diventa il paradigma di un' umanità alla strenua ricerca del senso più profondo delle cose, di un' elevazione dell'uomo, tanto laicamente vicina al più autonomo criterio di scelta tra cosa si ritiene giusto e cosa ingiusto, quanto spiritualmente partecipe della più alta coscienza che un uomo può avere delle proprie potenzialità interiori. Raramente il senso del sacro era stato così intimamente legato alla paziente perizia delle mani e una condizione di assoluta debolezza usata per sovvertire il senso dell'uomo nella storia. Capolavoro di eccezionale secchezza stilistica e di pregnante spessore concettuale.

 

 

 

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