Regia di Robert Bresson vedi scheda film
"Cette histoire est véritable. Je la donne comme elle est, sans ornement".
Chi conosce ed ama Bresson potrebbe non necessitare di questa premessa con cui il grande regista apre il suo racconto.
I "fronzoli narrativi" ed ancor più gli ammiccamenti melodrammatici esulano dal concetto di cinema che ha reso magistrale l'arte del celebre e schivo regista francese.
Il racconto della ingegnosa e rocambolesca fuga da parte di un condannato francese a morte, il tenente Fontaine, membro della resistenza francese, imprigionato dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, si avvale della cronaca diretta del protagonista che diventa imperturbabile io narrante della storia.
Costretto a vivere in una cella angusta, cosciente di essere destinato alla pena capitale, l'uomo riesce, con l'aiuto di alcuni altri prigionieri, a procurarsi pochi oggetti semplici con cui costruirsi un arsenale povero e rudimentale, sufficiente per garantire una fuga che coinvolgerà anche un ragazzo sedicenne, aggiunto all'ultimo momento a riempire uno spazio già troppo ristretto di quella cella asfissiante, preludio sin troppo sinistramente assimilabile a quella bara a cui è destinato qualora non si opti per una disumana fossa comune.
In un susseguirsi di primi piani che si concentrano sugli spazi angusti tipici dell'ambiente carcerario e che si alternano al volto impassibile dell'ostinato protagonista sempre rivolto alla finestra a grate a scrutale un orizzonte che a noi spettatori invece viene scientemente negato, il film bellissimo di Robert Bresson riesce a tradurci la concretezza di un bisogno di fuga e di libertà, che riesce a trasmettere nello spettatore una esigenza se non impellente, comunque molto avvertita, di rendersi pure lui libero da vincoli e da ogni privazione di sorta.
Premiato per la Miglior Regia al Festival di Cannes nel 1957, Un condannato a morte è fuggito riesce a riassumere sin dal solo titolo esemplare, tutta la dinamica e l'essenza di una narrazione che, per quanto si sforzi a risultare anti-spettacolare, riesce a mantenere sempre viva l'attenzione dello spettatore, coinvolto in una strategia di fuga che lo conduce quasi ad identificarsi con l'umanissimo protagonista.
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