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Il diario di un curato di campagna

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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La recensione su Il diario di un curato di campagna

di ed wood
8 stelle

Pur essendo ancora lontano dagli esiti irripetibili di "Pickpocket" e "Mouchette", questo film segna senz'altro una data nella Storia del cinema. La sua portata innovativa, la sua influenza sul futuro della Settima Arte non è inferiore, tutto sommato, a quella che negli stessi anni stavano esercitando in Italia i vari Rossellini ("Europa 51") ed Antonioni ("Cronaca di un amore"). Si può dire che, con questi tre grandi autori più Bergman, nasca il cinema esistenzialista europeo, esperienza di rottura nei confronti di temi e forme classiche, preparatoria al fiorire creativo delle "nuove onde" di qualche anno dopo. "Diario di un curato di campagna" si basa su un copione molto articolato, fin troppo. La fonte letteraria (Bernanos), se da un lato ispira la poetica bressoniana (in questa ed altre occasioni), dall'altro si rivela una presenza testuale talora invadente, impedendo quell'autonomia espressiva del "cinematografo" rivendicata dallo stesso Bresson. Letteratura, quindi, e in parte teatro (anche se sono evidenti, e danno già i loro frutti, i tentativi del regista di pervenire ad una recitazione neutra, naturale, la meno caricata possibile) indirizzano ancora l'impianto drammaturgico, ostacolando il libero "giustapporsi" delle immagini come unico mezzo di creazione di senso (come invece si sarebbe verificato nei capolavori maturi dell'autore). Eppure, Bresson fa miracoli nel rappresentare la vita ingrata di un puro di cuore, pesce fuor d'acqua in un mondo dominato da grettezza, ostilità, cattiveria, cinismo, pragmatismo, maldicenza, presunzione, rassegnazione e tutti i mali possibili e immaginabili. Un calviario tutto terreno, sporadicamente illuminato da una Grazia passeggera, concreta, senza luce, segno materiale di un Dio che è invisibile tanto quanto il Male. Un Nazarin bunueliano ante-litteram, ovviamente senza la placida ferocia del maestro iberico, ma con uno struggimento interiore pari solo alla compostezza con cui il francese lo filma. Bresson imbastisce una struttura episodica, affastellando gli incontri del curato in modo da rendere l'idea di un continuo ed opprimente confronto con una realtà incomprensibilmente malvagia; depura la narrazione dalle pastoie del classicismo filmico; sperimenta alcuni espedienti che poi diventeranno tipici del suo stile, come il sonoro fuori campo e la rivelazione ellittica degli effetti prima delle cause; supera gli ultimi retaggi espressionisti e naturalisti del suo maestro Dreyer, pervenendo ad una concisa, pacata, spoglia, rigorosa forma di realismo, così sobria da non concedere alcuna forzatura luministica o di altro genere; rappresenta con assoluta asciutezza, sincera pietas, infinito rispetto l'intimità tormentata di un umile servo di Dio. Lungi dall'essere un film ascetico, aggettivo che spesso si attribuisce a Bresson, "Diaro di un curato in campagna" è invece tutto immerso nella quotidianità, nei vizi, nei lutti, nelle faccende che coinvolgono il consorzio umano, in qualsiasi epoca o luogo: e l'affanno del povero curato è quello che chiunque di noi può provare ogni qualvolta la vita ci mette di fronte al peso di dure prove, costringendoci a coltivare il dubbio, auspicando fugaci momenti di grazia, non potendo scorgere, in ciò che ci si pone dinnanzi allo sguardo, altro che segni incomprensibili.

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