Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Film di Bresson di una pietas spirituale e di un fascino interiore poco trasparente e percepibile ma vitale nella sofferenza e nel dilemma 'distruggente' di un uomo che vive la sua vita da (giovane) curato senza minime scorciatoie (registrando sberleffi, accadimenti e viltà umane) con speranze mai sopite e accontanate fino alla malattia fisica per assorbire in se la grazia e il dono della vita.
Un'opera magistrale e assoluta, di un'asciutezza e di un linguaggio con pochissimi paragoni; la messainscena è dimessa e folgorante, spartana e coinvolgente, povera e ricchissima; la precisione esteriore va di pari passo alle mille domande di un animo (disperso) tra le cose, gli oggetti e la fisicità di tutti i giorni.
Il bianco e nero sublima un male coercitivo (quasi salutare) e parimenti uno spirito amico da cercare nel chiuso del mondo.
La fisicità si contrappone ad un amico conosciuto nel seminario e cercarlo senza dire nulla..quasi invereconda l'amicizia finale come segno di dono e sofferenza. Solo un bacio lascia nel curato un nido di speranza e le parole diventano incursioni di deserti attoniti con il conforto (mai meno) di una vita allegerita dal dolore.
Un film di retorica annullata e di ammodernamenti stesi, una voce fuori campo palpitante e inerte, uno sguardo che entra 8di fitto) nel cuore di tutti.
Capolavoro assoluto.
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