Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Il mondo visto da fuori: potrebbe essere questo il sottotitolo del film, di questa breve incursione nella vita di un microcosmo sospeso tra feudalesimo e borghesia. Il punto di vista è quello di un uomo collocato ai margini dell'esistenza, sottratto ai piaceri terreni dal sacerdozio e da un male incurabile; il giovane parroco di un piccolo paese di provincia è un tale concentrato di fragilità, sensibilità, riservatezza e rigore morale da trasformare ogni contatto con la vita altrui in un incontro sconvolgente per ambo le parti. Ogni volta è come se un'anima impalpabile ed angelica toccasse la scabra superficie di un corpo pieno delle nodosità del rancore e delle cicatrici delle sofferenze irrisolte. Lui è come un tabernacolo vivente, in cui riescono ad entrare soltanto le lievi sostanze del pane del vino, mentre fuori rimane il pesante groviglio dei lacci che imprigionano gli uomini nelle schiavitù delle passioni, delle convenzioni, dell'attaccamento alla proprietà. La sua presenza eterea e discreta è l'antitesi alla furia con cui gli altri si avvinghiano alle proprie debolezze, impugnate come armi di un'inutile rivolta, diretta contro il vuoto che avvertono intorno a sé. La regia di Robert Bresson fa del curato di campagna una figura trascendente, immutabile nei tratti del viso come un'icona, su cui i segni della salute in declino sembrano solo le tracce di una progressiva trasfigurazione celeste. I repentini e frequenti cambi di scenario creano un'illusione di ubiquità: il prete sembra spostarsi da un luogo all'altro come un'apparizione, senza tempo e senza affanno, trasportando ovunque la sua stessa, inattaccabile visione della vita, che è tutt'uno con l'incrollabile coscienza della sua missione. Eppure il suo operato è troppo segreto e silenzioso - quasi venato di incertezza – per poterne sancire pubblicamente la santità: la sua verità è un succo dal sapore vago che sgocciola timidamente dai suoi gesti e dalle sue parole, affidate alle pagine del diario, oppure offerte, come un dono personale ed esclusivo, durante i colloqui privati. Dio è sempre l'interlocutore ultimo e indiretto di un pensiero che, sulla strada del cielo, si ferma dove ce n'è più bisogno: nella sua tormentata interiorità, o nei cuori rappresi dalla paralisi affettiva. Questo è il reale significato della sua incapacità a pregare, che, insieme alla negazione della malattia, esprime l'inconscia, ma ferrea, volontà di restare su una terra che chiede, in mille modi, di essere finalmente liberata.
Il carattere umanamente cristiano di quest'opera sta nell'assenza della condanna dal pulpito, a cui sostituisce, come strumento apostolico, l'autocondanna indotta dalla scoperta dell'insensatezza, che spinge ad abbandonare il caos, per lasciarsi andare e consegnarsi infine alla pace. Questa conversione non è prodotta da un'ondata di proclami, ma, più semplicemente, dall'atto cortese e generoso di entrare nelle case, socchiudendo la porta, e scostando leggermente le tendine.
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