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Il diario di un curato di campagna

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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La recensione su Il diario di un curato di campagna

di Peppe Comune
10 stelle

Mirabile trasposizione cinematografica del capolavoro di Georges Bernanos "Il diario di un curato di campagna". Robert Bresson restituisce con la maestria che gli è propria l'intera agonia esistenziale di un povero curato (interpretato da Claude Laydu) stretto nella doppia morsa dei mali del corpo e di quelli dello spirito. Il curato sente dei lancinanti  dolori allo stomaco che cerca di curare con una dieta tutta particolare fatta di pane indurito impregnato nel vino. Se questo forzato regime alimentare gli procura qualche effetto benefico, i dolori dell'animo rimangono e lo mettono in un perenne stato di apprensione emotiva. Ciò che lo angoscia più di ogni altra cosa è la convinzione di non essere un buon prete, di non essere all'altezza del ruolo che ricopre, di non essere capace a lenire le sofferenze dei suoi parrocchiani. Si carica addosso tutto il peso dei difficili rapporti con gli abitanti della sua piccola comunità quando invece è proprio il vivere il suo magistero dandosi totalmente alla comprensione dei dolori altrui, a non vivere pedissequamente la sua funzione di prete, a stare alla base dei suoi difficili rapporti con una comunità che evidentemente è poco preparata ad accogliere un prete che va ben oltre le sue pratiche ordinarie. Emblematiche in tal senso sono le parole del Canonico (Armand Guibert) il quale, quando il curato gli domanda cosa esattamente gli rimproverassero i suoi parrocchiani, risponde con soave candore che lui "non è uno di quelli che parlano senza dire nulla  ma purtroppo è di questo che c'è bisogno.(...).Non odiano la sua semplicità , si difendono da essa. E' come un fuoco che li brucia". Il curato non ha, ne la statura intellettuale, ne tantomeno la forza morale del suo mentore curato di Torcy. Lui problematizza sui misteri della fede con la purezza e la semplicità d'animo che gli sono propri. Percorso che logora prima se stesso e poi insinua il dubbio nell'insieme di convinzioni che i suoi parrocchiani si sono artatamente costruiti per sfuggire alle loro responsabilità di creature di Dio. Scive Bernanos all'inizio del romanzo:"La mia parocchia è divorata dalla noia, ecco la parola. Come tante altre parrocchie! La noia la divora sotto i nostri occhi e noi non possiamo farci nulla. Qualche giorno forse saremo vinti dal contagio, scopriremo in noi un simile cancro. Si può molto a lungo con questo in corpo." Si può vivere molto a lungo rimanendo indifferenti ai richiami dello spirito, alle pulsioni più profonde di una precisa professione di fede, adagiandosi su una solida e rispettabile posizione sociale. Ma il povero curato di campagna è il paradigma della religiosità tanto di Bernanos quanto di Bresson, intransigente, appassionata, che disdegna l'indifferenza, la freddezza, l'ipocrisia benpensante. Un percorso affatto convenzionale, che costa fatica, che logora dal di dentro e che se uccide il cancro della noia non può scongiurare la morte dello spirito prim'ancora di quella del corpo.

 

http://martinosavorani.it/wp-content/uploads/2013/08/claude-leydu-diario-curato-campagna.jpg

Il diario di un curato di campagna - Claude Laydu

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