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I racconti immorali di Borowczyk

Regia di Walerian Borowczyk vedi scheda film

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La recensione su I racconti immorali di Borowczyk

di ed wood
8 stelle

Pietra miliare del cinema erotico, dall'autore europeo forse più acclamato del genere, "Racconti Immorali" sta in effetti una spanna sopra alla media, evitandone accuratamente tutti i vari "automatismi" ed offrendo parecchi spunti originali sul piano della rappresentazione filmica del sesso. Si compone di 4 episodi, che sviscerano, nelle varie epoche, un campionario di pratiche erotiche incentrato prevalentemente sulla perlustrazione del corpo femminile. Dominano i primissimi piani, i dettagli, il montaggio fitto, la reiterazione, il barocchismo scenografico. Il primo episodio, "La marea", è ambientato nel presente (gli anni 70) e racconta dell'iniziazione al sesso orale dell'adolescente Julie da parte del cugino più grande, nello scenario di una isolata scogliera marina. Non è tanto il tema dell'incesto ad interessare a Borowczyk, quanto piuttosto la simbiosi fra il tempo del piacere e quello della natura, evidenziata dal montaggio alternato. Al momento dell'orgasmo, la marea raggiunge metaforicamente i due cugini. Il regista polacco stabilisce fin da subito quel tono attendista e sommesso che regola tutto il film, integrando i dettagli anatomici a quelli ambientali, facendo crescere nello spettatore l'attesa per l'incontro erotico, stabilendo i rapporti di forza e di attrazione fra i due ragazzi (un po' come la luna con le maree...): quello che penalizza la riuscita dell'episodio è il ricorso a monologhi pretenziosi di origine letteraria, che appesantiscono un po' una novella che non avrebbe sfigurato nella Trilogia della Vita pasoliniana. Va dato atto all'autore di essere riuscito a trattare con delicatezza e sensibilità un tema che prestava il fianco al maschilismo/autoritarismo più bieco, trasformandolo invece in una intensa e tenera educazione sessuale. Il secondo episodio, "Teresa filosofa",  è invece ambientato a fine 800 ed è a mio parere una grande pagina di cinema: una sola attrice (Charlotte Alexandra) soffocata dalla clautrofobia di interni opprimenti (prima una Chiesa, poi la stanza in cui viene rinchiusa dalla zia), si dà alla masturbazione con un cetriolo. Detto così, fa ridere e viene in mente la peggior commedia sexy pecoreccia. Ma Borowczyk rende invece con intensità (e perfino una vena di tristezza) il graduale raggiungimento del piacere solitario da parte della giovane donna. Compare qui una delle ossessioni del regista, quel feticismo blasfemo che gli procurò tanti problemi con la censura. E' un episodio in cui le inquadrature sono sovraccariche di oggetti, sacri e profani, che vengono guardati e toccati, generando un'estasi che è tanto spirituale quanto carnale. Più che la polemica anticlericale, ciò che interessa al regista è anche qui l'idea di un piacere congiunto: non più fra natura e persona, ma fra spirito e corpo. Il ricorso alle invocazioni religiose in voce off contribuisce al risultato. E' un indubbio merito quello di aver utilizzato la scenografia d'epoca non come preziosismo per rendere più chic e falsamente elegante il tema "scomodo", ma come indispendabile supporto tematico: il crudo e meticoloso realismo della messinscena salta a piè pari ogni tentazione manierista/patinata. Il terzo episodio è un altro pezzo di bravura: "Erzebet Bathory". La storia è nota: la famigerata Contessa ungherese rastrella giovani vergini di origine contadina, le offre docce e confort, per poi fare il bagno nel loro sangue. Se negli episodi precedenti, protagoniste erano una coppia ed una singola, qui invece si entra in una dimensione orgiastica tutta al femminile. E' praticamente un film muto, dove le parole più significative sono le indistinte urla di ammirazione delle giovani donne alla vista della Contessa elegantemente vestita e agghindata; al di là del consueto feticismo e al di là della splendida grazia di questa ventina di generosi corpi nudi, è significativo il rovescio "politico" applicato da Borowczyk: le ragazze strappano vestiti e collane alla Contessa, denudandola, abbassandola al loro livello, privandola simbolicamente del Potere, annunciandone l'imminente delazione. Una frigida, triste, sempre seria ed abulica Paloma Picasso rende memorabile il ritratto della Contessa. Chiude "Lucrezia Borgia", l'episodio minore del film, piuttosto confinato nella dimensione anticlericale e un po' raffazzonato registicamente. Tuttavia, ad ulteriore dimostrazione della sagacia di Borowczyk nell'utilizzo variegato della grammatica filmica, è curioso notare la messinscena griffithiana: il montaggio alterna il triangolo incestuoso e blasfemo dei Borgia alle invettive del Savonarola, di cui discorsi, arresto ed esecuzione sono risolte con non più di due statiche inquadrature frontali. In definitiva, questi Racconti risultano "immorali" solo in apparenza, laddove invece rilanciano con forza e poesia un'idea di eros pura, spontanea, genuina, libera dalle gabbie repressive delle istituzioni e della falsa morale borghese: non a caso, chiude il film l'immagine dolce ed euforica di un bambino sorridente, simbolo di purezza ed innocenza.

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