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I giorni del '36

Regia di Theo Anghelopoulos vedi scheda film

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La recensione su I giorni del '36

di Peppe Comune
8 stelle

Prima di iniziare il suo comizio un sindacalista viene ucciso con un colpo di pistola. Accusato dell'attentato è Sofianos (Costas Pavlou), un confidente della polizia con dei precedenti come spacciatore di droga. Portato in carcere, Sofianos si dichiara fin da subito innocente. Va in carcere per sentire le sue ragioni il deputato  Kryesis (Iannis Kandilas), un esponente di spicco del partito conservatore. Sofianos approfitta della situazione propizia e riesce a tenerlo prigioniero. Chiuso insieme al deputato nella stanza adibita agli interrogatori, minaccia di uccidere il politico se non lo si metterà subito in libertà. Il direttore del carcere (Christophoros Nezer) si trova così a gestire una situazione spinosa per nome e per conto del governo del generale Metaxas. La morte di Kryesis gli toglierebbe l'appoggio del partito di destra, la sua salvezza potrebbe sottrargli i voti dell’influente partito di centro. Intanto, anche sulla scorta della solitaria ribellione di Sofianos, i detenuti danno mostra di un'insofferenza sempre più marcata.

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"I giorni del 36" - Scena

 

 

“I giorni del 36” di Theo Angelopoulos è un film che costruisce un ponte lungo quasi 40 anni per collegare momenti diversi della storia della Grecia : quella che già il titolo fa capire essere l'inizio della dittatura militare del generale Metaxas con il regime di Georgios Papadoupoulos, al potere al momento dell’uscita del film. “I giorni del 36” è il primo capitolo di un ideale trilogia sulla storia della Grecia che continuerà con “La recita” e “I cacciatori”. Ciò vuol dire che con questo film ha inizio il rapporto che il cinema di Theo Angelopoulos ha intrapreso con la storia. Un percorso che sin da subito ha evidenziato una riconoscibilità di stile abbastanza marcata, sia per la verbosità talvolta didascalica che ne caratterizza lo sviluppo narrativo, sia per il fascino estremo che scaturisce da ricercati movimenti di macchina. Entrambi gli aspetti caratterizzano in maniera pressoché inevitabile la poetica dell'autore greco, che a partire da “I giorni del 36” mostra di essere interessato, non tanto a portare su schermo la ricostruzione certosina di fatti storici realmente accaduti, ma a ricreare quell’adeguata atmosfera “tipo” che fa da palcoscenico ai fatti che accadono. È attraverso questa atmosfera che la tecnica cinematografica adottata da Angelopoulos entra in relazione con il senso della storia, evocata con estenuanti inquadrature fisse e sinuosi piani sequenza. È nella ricostruzione elegiaca di quella atmosfera che agiscono anche in forma simbolica quei caratteri dell’umano che possono ripresentarsi sempre e comunque, indipendentemente dalla dimensione spazio temporale che li ospita.

“I giorni del 36” si svolge quasi esclusivamente all'interno di un istituto penitenziario, fra gli assolati spazi esterni e i tetri ambienti interni dell’istituto carcerario. Quanto basta per generare delle assonanze "cognitive" con “I disperati di Sandor” di Miklos Jancsó. Certo, diverse sono le finalità narrative e l’organizzazione della messinscena. Così come inarrivabile rimane l’uso della luce e degli spazi del capolavoro del maestro ungherese. Ma ad accomunarli ci sono diversi aspetti stilistici : la stessa sensazione claustrofobica nonostante si stia più spesso in spazi aperti ; la stessa sospensione atemporale generata dallo sviluppo narrativo e dall’uso dei piani di ripresa ; la stessa poca importanza accordata alla comprensione delle relazioni tra i diversi personaggi. E non sorgono spontanee queste assonanze, verrebbe da dire, dato che Miklos Jancsó può essere considerato un punto di riferimento sicuro per chi, come Angelopoulos, tende a fare del respiro espandente della storia un suo preciso tratto poetico e del piano sequenza un suo valido supporto grammaticale. La macchina da presa che si muove in continuazione vuole fornire informazioni sulla storia e sui personaggi. Quella che spesso rimane fissa, e quando si muove lo fa per esaminare fino in fondo la profondità dello spazio scenico, agisce come a voler immobilizzare il tempo storico in un processo ciclico che porta in dote caratteri umani immutabili e universali. Ecco, Jancsó e Angelopoulos sono “illustri” facitori di questo linguaggio cinematografico.   

Come già accennato all'inizio, Angelopoulos ci porta a contatto con i prodromi della dittatura del generale Metaxas per evocare la faccia del coevo regime di Georgios Papadoupoulos. I tratti più caratterizzanti stanno nell’evidenziare la mediocrità dei potenti e l'impunità del potere che si fortifica in ragione delle sue stesse colpe. Il neo regime militare cerca un capro espiatorio da poter sacrificare e la condanna di Sofianos, un confidente della polizia quindi avvezzo all'ambiguità l'atteggiamento, offre l'occasione propizia per presentarsi come unico garante dell'ordine costituito. Intorno alla vicenda di un prigioniero e per mezzo di una trattativa anomala, si inscena un balletto politico che si fa sintomatico di un vuoto di potere persistente e perdurante. Il volto di Sofianos non lo vedremo mai, se non in maniera fugace nel finale del film, quando alla faccia anonima e sfuggente di una cellula impazzita del sistema sta per sostituirsi quella riconoscibile e rassicurante della dittatura militare. Nello stesso tempo, il direttore del carcere diventa l'ago della bilancia di un gioco di potere che mette in palio il corso politico di un intero paese. Perché solo all'interno del carcere è possibile insinuare una ribellione, solo in uno spazio chiuso e possibile inneggiare un coro distorto contro la libertà negata. In tal senso, bella e tutta la sequenza di quanto, per corrispondere a un volere di Sofianos, viene messo un megafono nel cortile del carcere e dalla cella si alza una protesta sonora a colpi di cucchiai e piatti usati come se fossero dei tamburi assordanti. Ecco, per un concorso di eventi concatenati, diverse persone si trovano a recitare un ruolo molto più importante del previsto nella determinazione del disegno storico della Grecia. Ma solo nell'ambito di un percorso già tracciato, perché loro sono solo delle pedine all'interno di una scacchiera di eventi molto più ampia e con i tentacoli temporali protesi in ogni dove.

Attraverso un racconto ellittico, non focalizzando mai troppo l’attenzione sulle relazioni che intercorrono tra i diversi personaggi e attribuendo una veste simbolica a diversi aspetti della messinscena, Theo Angelopoulos mette in sintonia il campo e i fuori campo lasciando intendere che il germe del potere dispotico e un cancro che percorre la storia. È in questo modo che il cinema di Theo Angelopoulos ci porta a riflettere e confrontare con senso della storia.

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