Regia di Robert Altman vedi scheda film
Scontri, idiosincrasie e dissidi tra giovani reclute americane in procinto di partire per il Vietnam; la tragedia incombe.
Girare un kammerspiel di due ore tonde di durata è un’idea abbastanza folle; Robert Altman è d’altronde sempre stato un regista poco incline ad assecondare mode e gusti degli spettatori, anzi piuttosto propenso a sperimentare tra i generi, alla sua maniera. Ecco così che il regista americano decide di portare sul grande schermo il dramma teatrale Streamers di David Rabe, che peraltro collabora più che volentieri al progetto firmando la sceneggiatura del film; ma l’ambientazione claustrofobica in una stanza di caserma, l’esiguo numero di interpreti (per quanto in parte e bravi) e la mancanza di azione – quantomeno fino al convulso, sanguinario finale – sono una garanzia di insuccesso o quantomeno di scarsa appetibilità per il grande pubblico. Streamers è un’opera corale, nel segno di Altman, nella quale nessun attore prevale sugli altri: questo dimostra la grandezza e l’accortezza della regia; interessante, per il 1983, è il richiamo sul problema dell’intolleranza nei confronti dell’omosessualità, ma è sinceramente difficile dire qualcos’altro di chiaramente positivo su questa pellicola. Matthew Modine, Michael Wright, Mitchell Lichtenstein, David Alan Grier, George Dzundza sono i nomi principali del cast; M.A.S.H., e non solo per i toni agrodolci, è lontano in ogni caso anni luce da qui. 3,5/10.
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