Regia di Mark Rydell vedi scheda film
Mark Rydell, già autore del diabetogeno Sul lago dorato (1981), sosteneva che Il fiume dell'ira fosse un film antireaganiano. Se così era, la critica al presidente/attore sembra provenire da destra. Non tanto perché si tratti di un film fascista, ma perché sembra una di quelle opere concepite e realizzate in periodi di crisi, come in tempo di guerra, per esaltare le antiche virtù di un popolo: nel caso che ci interessa, quelle della laboriosa gente delle pianure rurali americane. Dal punto di vista politico, non si vivevano grandi momenti negli USA, per tutto il corso degli anni Ottanta: se la cosa può consolare, mi sembra che si fosse messi addirittura peggio di oggi. L'alternativa era rappresentata dal modello qui proposto da Rydell e, dall'altro lato, da quello dello yuppismo, incarnato al suo peggior livello da Tom Cruise. Quindi, prendiamo quel poco di buono che Il fiume dell'ira propone, ovverosia la discreta pagina in cui il protagonista del film (Mel Gibson) si rende conto di essere stato usato dai padroni di un'acciaieria come crumiro, per ridurre l'impatto di uno sciopero dei metalmeccanici. È il tono complessivo del film a lasciare perplessi: Giovanni Grazzini, critico solitamente misurato nei giudizi, parlò di «una torta melò così spolverata di vaniglia da stuccare il pasticciere», di «miele didascalico» e «poeticismo proletario», che conducono ad «una rappresentazione di maniera», stretta parente della «oleografia» tipica del «cinema sovietico degli eroi positivi». Ed io sono complessivamente d'accordo. Aggiungerei soltanto che, quanto agli interpreti, Scott Glenn, anche quando fa il cattivo, è più simpatico di Mel Gibson, e che mi sembra sprecata l'innegabile bravura di Sissy Spacek: per la parte della mogliettina concupita da due maschi nerboruti, forse sarebbe bastata un'attrice meno dotata di talento, ma esteticamente più appetibile.
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