Regia di Jean-Pierre Jeunet vedi scheda film
Jean-Pierre Jeunet adora le macchine narrative e gli oggetti meccanici. I marchingegni affabulatori, dal suo film-fenomeno Amélie, operano, senza anestesie locali dell’immaginario, sui sentimenti assoluti e tenaci, su un romanticismo degno dei secoli scorsi, sull’alea, irrazionale e superstiziosa, dell’amore. Gli oggetti meccanici (mani di legno, arzigogolate tecniche di omicidio, dirigibili, vecchi filmati, protesi, memorie e corpi) sembrano digressioni, parentesi ludiche del dramma, e danno, invece, profondità visiva ad un’attesa e ad un’indagine. Quelle di Mathilde, fanciulla forgiata dal ferro e dalla febbre, sostenuta da una fiducia senza scalfitture, incapace di accettare la morte del suo amato Manech, soldato tra i soldati, carne da macello per i cannoni e i cecchini della Prima guerra mondiale: suprema, orripilante, fangosa, bestiale Macchina delle storie individuali e dei dispositivi del massacro e del lutto. Jeunet, studioso e appassionato di quel conflitto che ha segnato il passaggio dall’800 al 900, dirige un film seduttivo e denso, debordante e stupito dall’inessenziale. Segue, non smarrendosi, le tante trincee (quelle reali e le altre) intorno alle quali i personaggi combattono per averla vinta su favole e tragedie. Con un’attrice più coinvolgente ed emozionante della Tautou sarebbe straordinario.
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