Regia di Jean-Pierre Jeunet vedi scheda film
Durante la Grande Guerra, il ventenne Manech viene condannato a morte per automutilazione insieme a 4 commilitoni. Il suo destino sembra segnato, eppure accade qualcosa per cui la giovane fidanzata Mathilde può ancora sperare di riabbracciarlo.
Comincia così la lunga investigazione della caparbia ragazza bretone, che nonostante la seminfermità dovuta alla poliomielite, riesce comunque ad ingaggiare un’investigatore privato, a smuovere un famoso avvocato, ad entrare negli archivi segreti dell’esercito, ad arrivare, infine, alla verità. In mezzo tanti piccoli indizi, a comporre un mosaico a volte complicatissimo, ma per cui Jeunet è clemente, guidando lo spettatore lungo i fili logici che solo la forza dell’amore (e della disperazione) può riuscire a riannodare…
Dopo i film carillon e la fantascienza pura, Jeunet sfrutta le pagine del libro di Sebastien Japrisot per tuffarsi nella pellicola drammatica con inserti guerreschi, dimostrandosi capace di padroneggiare l’uno e l’altro genere.
L’autore francese riesce sia a regalarci scene di minimalismo bellico (capaci di rendere meglio di mille effetti speciali) sia a raccontare a modo suo i sentimenti di Mathilde e Manech con centinaia di piccoli sotterfugi (soprattutto tecnici). Come al solito le trovate videoclippare di Jeunet finiscono per essere un valore rappresentativo della sua matrice stilistica piuttosto che una spocchiosa pratica. Assolutamente memorabili i movimenti di camera, le location, il sedere della Tautou.
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