Secondo me, l’unico modo di apprezzare il cinema di Jean-Luc Godard è non prendere troppo sul serio testi e dialoghi e godersi le sue invenzioni, il modo in cui tiene in mano la cinepresa, le sue scelte fotografiche e musicali. “Je vous salue, Marie” ne è un caso esemplare. La rilettura del mito della madonna vergine e madre è gentilmente dissacratoria, le divagazioni filosofiche lasciano il tempo che trovano e l’intero film, per dirla tutta, non ha né capo né coda. Ciò nonostante, si segue o, per meglio dire, si osserva e si ammira come un quadro astratto non immediatamente comprensibile ma pieno di luci e colori, di momenti inattesi e sorpese. La bellezza femminile, mostrata forse senza pudore, ma sicuramente senza volgarità, è l’elemento centrale dello spettacolo, perché di spettacolo si tratta. Alberi, aerei, città e una colonna sonora tutta di musica classica trascinano lo spettatore disposto a non seguire il film solo con il cervello e la ragione. All’epoca, criticandolo e puntando l’indice, il mondo cattolico fece un gran regalo pubblicitario all’autore, prendendolo paradossalmente troppo sul serio.
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