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L'imperatrice Yang-Kwei-Fei

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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La recensione su L'imperatrice Yang-Kwei-Fei

di Peppe Comune
8 stelle

L’Imperatore Huan Tsung (Masayuki Mori) non si da pace per la morte della moglie. A corte vengono introdotte diverse donne allo scopo di cercare di consolarlo. Ma nessuna ci riesce, fino a quando non conosce la bella Yu-Huan (Machiko Kyo), che somiglia tremendamente alla moglie defunta. Ma non è questo a colpire maggiormente la sua attenzione, quanto il fatto che la giovane donna gli si presenta con una sincerità di spirito davvero disarmante, che sa capire i dolori che affliggono l’Imperatore e dargli un senso. L’ascesa sociale di Yu-Huan comporta l’entrata a corte dei membri della sua famiglia, i quali, ben lontani dal carattere mite dell’umile ragazza, pensano solo ad accrescere il loro potere e a tiranneggiare le classi inferiori. Ne seguiranno delle lotte intestine che vedranno coalizzati un po’ tutti contro la famiglia Yang , lotte che avranno delle ripercussioni tragiche anche sulla sorte dell’Imperatrice Yang-Kwei Fei. Naturalmente, anche la serenità ritrovata dell’Imperatore Huan Tsung verrà sconvolta.

 

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L'imperatrice Yang-Kwei-Fei - Masayuki Mori e Machiko Kyo

 

”L’Imperatrice Yang-Kwei-Fei”di Kenji Mizoguchi si articola come un lungo flashback retto sui ricordi dell’Imperatore Huan Tsung ormai vecchio e morente, il quale, davanti alla statua dell’adorata Kwei-Fei, passa in rassegna gli ultimi travagliati anni della sua esistenza, dalla serenità ritrovata al buio che ritorna. Il film inizia con le premesse tipiche di una bella storia sentimentale, con una ragazza dei bassifondi che diventa la moglie dell’Imperatore, e finisce con addensarsi di nero a causa dell’irrimediabile morte dell’innocenza. Si potrebbe parlare di una favola che non conosce il canonico “lieto fine”, dove i calcoli egoistici determinati dal realismo politico hanno decisamente la meglio sulla verità dei sentimenti. Una novità importante all’interno della filmografia dell’autore giapponese è certamente l’utilizzo del colore, che ritroveremo anche nel successivo film, “Shin heike monogatari” (“La vera storia del clan Taira”nella traduzione italiana), prima di ritornare al bianco e nero con “La strada della vergogna”, sua ultima fatica. Utilizzo del colore si diceva, che si armonizza meravigliosamente con la regalità propria della vita di corte conferendogli, pur con il senso di morte che su di essa incombe, un tocco più solenne e meno austero. La costante, invece, è rappresentata dalla centralità attribuita da Kenji Mizoguchi al ruolo della donna, che col suo assurgere a figura tragica con dei connotati sociali assai emblematici, fa emergere per contrasto tutta la natura contraddittoria del genere umano, il profondo egoismo che sembra dominarne i pensieri a la sete di potere che ne indirizza l’azione. Con Mizoguchi, la donna è tendenzialmente “buona” di spirito non perché, in assoluto, essa non può rendersi capace di azioni maligne, tutt’altro, ma perché , in una società retta sulla protervia maschile, è prima di ogni altra cosa una vittima designata. Così sarà anche per  Yu-Huan, che non sfuggirà al sua tragico destino nonostante sia arrivata al vertice massimo della gerarchia sociale, a diventare l’Imperatrice Yang-Kwei Fei, consolatrice delle pene dell’Imperatore e complice della sua rinascita. La bontà d’animo di Yu-Huan è pari solo alla sua bellezza, la sua gentilezza è totalmente estranea ad ogni logica opportunistica. Ma tutto questo è tanto per un mondo divorato dalla voracità famelica degli istinti umani, troppo per una corte perennemente alle prese con i più classici intrighi di potere. Così la donna finisce per soccombere sotto il peso di una ragione di Stato che in alcun modo può conoscere delle deroghe, e lo fa con una tale pacatezza di spirito, con una tale semplicità dell’atto amoroso che si intende salvaguardare, che ad apparire evidente è il contrasto insanabile tra chi è mosso dall’esclusiva avidità per il potere e chi agisce assecondando esclusivamente i richiami del cuore. Del resto, Yu-Huan è un aliena rispetto alle dinamiche proprie della politica di dominio, la condanna a morte della donna prevista per il suo coinvolgimento nella vita politica la scopre vittima inconsapevole, e il suo destino, più che essere indirizzato da un sistema di cose immobile e immodificabile, finisce per somigliare a un vero e proprio sacrificio volontario, un sacrificio fatto per l’uomo e non per l’Imperatore, per una vita soggiogata dal dolore e dalla solitudine e non per il sovrano assoluto insignito degli onori più alti. Dal canto suo, l’Imperatore Huan Tsung non può nulla contro le leggi che essi stesso incarna e non può fare altro che riscoprirsi solo e triste, con la felicità che fugge via definitivamente ed un figlio despota, “sangue del mio sangue”, che cerca in ogni modo di detronizzarlo. Kenji Mizoguchi ha fatto diversi capolavori, ”L’Imperatrice Yang-Kwei-Fei” non è certamente tra questi. Ma rimane un film di Kenji Mizoguchi, quindi un grande film.

 

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