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L'imperatrice Yang-Kwei-Fei

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'imperatrice Yang-Kwei-Fei

di vermeverde
9 stelle

Questo film è il terzultimo di Mizoguchi, girato nel 1955 un anno prima della sua morte prematura per leucemia, ed è uno dei due soli a colori (l’altro è il semisconosciuto e coevo “La vera storia del clan di Taira”, un jidai-geki).

La storia si svolge in Cina nell’VIII secolo e narra in flashback di una ragazza, Yu Huan (interpretata da Machiko Kyo), appartenente a un ramo collaterale della potente famiglia Yang e dedita ad umili lavori che il potente generale An Lushan (interpretato da So Yamamura), avvedutosi della sua bellezza e della grande somiglianza con la defunta imperatrice assai rimpiante dall’imperatore Xuan Zong (interpretato da  Masayuki Mori), fa in modo di presentarla a corte per trarne vantaggio politico. L’imperatore, in un primo momento indifferente all’aspetto fisico della ragazza, se ne innamora sentendola suonare e riconoscendone la sincerità e la sposa dandole il nuovo nome di Yang Kwei Fei. I componenti della famiglia Yang ne approfittano per ottenere importanti cariche , ma il loro corrotto spadroneggiare e i loro intrighi li rendono invisi alla popolazione che si ribella. A capo della rivolta si pone il generale An Lushan, deluso per non essere stato nominato ministro, e la famiglia Yang è sterminata: per salvare l’amato imperatore anche Kwei Fei si offre spontaneamente ai carnefici. Anni dopo, l’anziano imperatore ormai privo di potere e sul punto di morire si rivolge alla statua dell’amata Kwei Fei che dall’aldilà gli risponde che finalmente è arrivato il giorno in cui possono riunirsi per sempre e raggiungere la vera felicità: ora possono ridere.

Il film è un inno all’amore, in cui tutti quelli che ambiscono o detengono il potere materiale alla fine lo perdono: l’imperatore è spodestato dal figlio, la famiglia Yang e uccisa dai rivoltosi, il generale An Lushan cade in breve tempo; solo l’amore sincero e profondo tra l’imperatore e Kwei Fei resta immutato e va oltre la vita terrena. Come di regola nella filmografia di Mizoguchi anche qui il personaggio centrale positivo è una figura femminile, oppressa da convenzioni sociali e dal potere maschilista che la portano all’estremo sacrificio, tuttavia anche il personaggio maschile dell’imperatore è positivo: infatti, pur detenendo il massimo potere, lo esercita senza compiacimento, come un dovere imposto dall’esterno, perché i suoi veri interessi sono la musica e i godimento della bellezza della natura ed è capace di amare sinceramente.

Anche se non raggiunge i livelli eccelsi dei suoi grandi capolavori, questo film di Mizoguchi è un eccellente esempio della grandezza del regista che si manifesta nella costruzione delle scene per mezzi di piani sequenza e di fluidi ed eleganti movimenti di macchina ed esprime la sua poetica volta a scandagliare l’essere umano in contrapposizione alle opprimenti regole della società. È evidente la ricerca espressiva nell’uso del colore, dalle vivaci e luminose tonalità pastello delle scene idilliache a quelle cupee in ombra delle scene drammatiche, che mi sembra essere parallela a quella di Powell e Pressburger. Se al film si può contestare un certo calo di ritmo nella parte centrale in cui sono descritti gli intrighi politici, si deve anche dare atto della tragica intensità della scena della morte dell’imperatrice, in cui la mdp è rivolta verso il basso, come in segno di pudico rispetto, a mostrare con una geniale ellissi la perdita dei simboli di ricchezza e di potere e della vita dei Kwei Fei senza mostrare la persona.

In conclusione un ottimo film, sia per la direzione che per l’interpretazione, forse sottovalutato per essere stato girato dopo quattro immortali capolavori, che merita pienamente di essere visto.

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