Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
L'anno 1954 sicuramente figurera' nella TOP 10 delle annate più significative della storia del cinema, il numero di capolavori uscito infatti fa venire i brividi; Amanti Crocifissi, Senso, La Strada, Fronte del Porto, La Finestra sul Cortile, I Sette Samurai, È Nata una Stella, Sabrina, Il Delitto Perfetto, La Contessa Scalza etc... a questo lungo elenco si deve aggiungere anche L'Intendente Sansho di Kenji Mizoguchi (1954), che dopo una seconda visione confermo che tra i suoi quattro film della maturità da me visionati, sicuramente si prende il titolo di miglior film.
Sansho Dayu è tratto da una leggenda medioevale Giapponese tramandata oralmente e poi messa per iscritto nella versione definitiva dallo scrittore Ogai Mori; ancora una volta la letteratura popolare Giapponese funge da ispirazione per Kenji Mizoguchi, il quale con questo film gira la sua opera più politica.
Il film è una favola cridele avente come protagonisti Zashio e Anju, due bambini figli di un governatore mandato in esilio per le sue idee troppo egalitarie e progressiste, resi schiavi tramite un inganno e separati dalla madre Tamaki (Kunuyo Tanaka), anch'ella ridotta in schiavitù. I due fratellini vengono venduti nel feudo privato gestito con il pugno di ferro dal crudele intendente Sansho (Eitaro Shindo), venendo costretti a svolgere insieme ad altri schiavi dei lavori inumani e degradanti.
Dai topoi presenti e dallo svolgimento della vicenda, si capisce come ci ritroviamo innanzi ad una favola amara, dove i due fratellini cresciuti con degli insegnamenti progressisti e liberali, devono sperimentare quei principi astratti decantati dal padre in modo concreto tramite la riduzione in schiavitù, la quale dopo anni scalfisce le convinzioni più profonde dell'individuo, tanto che se Anju stoicamente rimarrà fedele sempre a sé stessa e alle proprie idee, Zashio invece subirà un crollo morale accettando passivamente la propria condizione di schiavo.
Questa volta Mizoguchi eleva il suo sguardo umano (anche la macchina da presa inquadra molte volte dall'alto verso il basso), per distaccarsi dall'analisi della sola condizione femminile (che comunque sussiste), per dare invece un quadro totale della situazione sociale e politica del Giappone e perché no... del mondo intero.
La pellicola è anche intrisa probabilmente di riferimenti autobiografici; è noto come Mizogichi rimase traumatizzato dalla vendita di una delle sue sorelle in un geisha-dojo e al contempo molto colpito dal sacrificio delle sue sorelle verso di lui, per dargli il meglio e capendone il potenziale talento, questo ha fatto si che il regista sviluppasse una forte sensibilità verso la figura femminile e una grande critica ai valori immutabili quanto ingiusti della società Giapponese.
Mizoguchi in effetti era un unicum non solo in Giappone, ma anche nel mondo, visto che fino alle avanguardie degli anni 60', i suoi ritratti di personaggi femminili restano di gran lunga i più profondi ed incisivi, nonché lontani da ogni traccia di stereotipo o macchiettismo.
Sansho Dayu girato tramite l'ausilio di numerosi piani sequenza (ma abbiamo anche delle inquadrature ravvicinate ai personaggi... una novità per il regista), unisce degradazione materiale con lirismo visivo, come il vento che piega gli alti fiori mentre la comitiva dei nostri personaggi ad inizio film vuole raggiungere il loro padre. Vento che è un vero e proprio veicolo, capace di unire figli e madre anche molto distanti nel tempo e nello spazio, nonché a destare Zashio dalla sua passiva accettazione della schiavitù per divenire un uomo moralmente giusto ed onesto, recependo finalmente gli insegnanti del padre, divenendo una figura quasi messianica, decisivo si rivelerà anche la figura "dell'aiutante", tipica delle favole, qui incarnata dalla sorella Anju; sono sempre le donne a dare l'imput decisivo ad un'anima che si credeva oramai persa.
Tutti gli uomini sono uguali e tutti devono poter mirare alla propria felicità, un uomo di comando che impedisce questo non è un bravo detentore del potere.
Sansho compiace i suoi superiori perché gestisce il tutto con metodi feudali, che non hanno la minima considerazione della vita umana; l'uomo ha instaurato un regime latifondista dove lui è a capo di una marea di schiavi, che sfrutta fino alla vecchiaia in modo capitalista, per poi abbandonarli in montagna una volta che stanno per morire, non concedendo loro neanche una morte dignitosa nell'affetto dei loro compagni schiavi e nel calore di una capanna.
La volontà politica di mettere fine a tutto questo manca del tutto, anche perché alla fine Sansho è un ingranaggio utile al sistema, quindi tutti ben se ne vedono dall'ostacolarlo. D'altronde Mizoguchi come il sottoscritto sa benissimo che il potere corrompe l'uomo, il quale è bene che lo eserciti per un periodo di tempo limitato, proprio per non venire cambiato da esso e dai poteri forti che lo circondano. Il percorso di Zashio assume i connotati di una parabola messianica, i suoi risultati tanto lodevoli per il prossimo, non gli procureranno alcun vantaggio personale, però avrà la consapevolezza di aver non solo preso il meglio da suo padre, ma di essere divenuto un uomo retto ed onesto. Mi spiace non essermi soffermato molto sulla regia, ma potete trovare i miei commenti in proposito leggendo i miei commenti ai suoi film precedenti, d'altronde Mizogichi per i Cahiers du cinena impersonava appieno il concetto di autore, ed in effetti per un neofita il suo stile è di sicuro il più riconoscibile e senza grandi cambiamenti tra una pellicola e l'altra. Vincitore del terzo Leone d'argento di fila a Venezia (modo elegante per dire che ha preso la terza inculata di seguito... gli andò benino però, Visconti con Senso fu out da ogni premio), oggi comunque resta un capolavoro assoluto della storia del cinema.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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