Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Perché un film intitolato all'intendente Sanshô, che non è certo il personaggio principale della storia che Mizoguchi ci viene a raccontare? Perché, secondo me, l'intendente Sanshô rappresenta il male che l'uomo deve affrontare nella vita, l'ostacolo al Bene, il lato oscuro da superare per raggiungere la beatitudine cui anela ogni seguace del Budda. L'intendente cerca di tenerci prigionieri, di educarci con le buone o con le cattive (più spesso con le cattive) a seguire il suo cattivo esempio, è quello che tenta di traviare suo figlio Taro o che sta per avere il sopravvento sul fragile animo di Zushio, o che tenta perfino di opporsi all'autorità imperiale. Eppure basta un semplice atto di volontà per uscire dai suoi recinti, magari con l'aiuto della fede (è proprio Taro, fuggito da casa e diventato monaco, ad aiutare Zushio nella sua fuga). A mio parere meno intenso, almeno all'inizio, rispetto agli altri capolavori di Mizoguchi ("Vita di O-Haru", "I racconti della luna pallida d'agosto", "Gli amanti crocifissi"), "L'intendente Sanshô", talvolta fin troppo "shinpa" (traducibile con "melodrammatico"), contiene pagine d'ineguagliabile emozione: impossibile non commuoversi di fronte all'incontro finale tra Shizuo e la madre ritrovata. Il film contiene tutti gli elementi tipici del cinema di Mizoguchi: a) la presenza di donne forti e sventurate (l'unico personaggio femminile negativo è la perfida vecchiaccia che tradisce Tamaki e la sua famiglia), spessissimo pronte a sacrificarsi per i loro uomini, come fa la povera Anju per favorire la fuga del fratello; b) il rapporto panico con la natura, anche nell'estremo sacrificio (sia la nutrice che Anju muoiono annegate); c) la necessità di tendere sempre al bene, dimostrando rigore morale nei confronti di sé stessi, ma misericordia nei confronti degli errori altrui (come recita la frase che il governatore esiliato lascia in eredità a Zushio prima di partire). In più, la sceneggiatura di Yoda Yoshikata è quasi proustiana nel richiamare un semplice gesto già accaduto in passato: quando Anju tenta di convincere Zushio a fuggire per andare a cercare la madre, la madeleinette è rappresentata dal ramo che i due fratelli spezzano insieme cadendo a terra, come era accaduto tanti anni prima, proprio la sera in cui furono rapiti. Mizoguchi, per parte sua, è geniale in alcuni movimenti di macchina, con i quali riesce a farci percepire i sentimenti provati dai suoi personaggi, come nella magistrale sequenza dell'invocazione di Zushio al Ministro, nel quale la tempesta interiore del ragazzo è testimoniata dal volteggio frenetico della macchina da presa. In conclusione, "L'intendente Sanshô" è uno dei capolavori che compongono la mirabile tetralogia sul passato del Giappone, realizzata dal Maestro negli ultimi anni della sua vita.
Nel medio evo giapponese, un governatore viene esiliato perché ha parteggiato per i contadini. Anche la sua famiglia dovrà tornarsene ai luoghi d'origine. Ma durante il viaggio la moglie e i figli sono rapiti e venduti come schiavi: lotteranno per tutta la vita per potersi ritrovare.
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