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Sanjuro

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sanjuro

di yume
8 stelle

Il clima dell’idillio bucolico e i toni della commedia si fondono, ma siamo sul set di uno Jidai Geki, e tornano a roteare katana, anche se nel bel mezzo di un giardino fiorito di piante di camelie bianche e rosse.

Dopo  il successo de La sfida del samurai (Yojimbo 1961) la Toho chiede a Kurosawa un seguito. Nasce Sanjuro, stessa epoca storica e un ronin (Mifune)  astuto e abile doppiogiochista come nel primo.

Fin qua le somiglianze, la vicenda e il messaggio del film sono molto diversi.

L’ambientazione è teatrale anche negli esterni, la prima scena si svolge all’interno di un tempio dove nove giovani samurai discutono animatamente sulla lettera di denuncia della corruzione di alcuni vassalli della città portata da Iori allo zio ciambellano Mutsuda.

Questi l’ha strappata facendo strani discorsi sull’essere e l’apparire delle persone, la situazione e i ruoli nella vicenda si chiariranno successivamente, ma ora il gesto è giudicato dai giovani un tradimento. Il sovrintendente Kikui, nemico del ciambellano, appare invece ai loro occhi come l’onesto con cui allearsi per avere giustizia.

Interviene a questo punto, sbadigliando e stiracchiandosi, il ronin che dormiva nella stanza accanto, svegliato dalla discussione, e contraddice punto per punto i discorsi dei giovani infervorati con osservazioni molto semplici, poche parole, battute fulminee e il quadro della situazione si ribalta, “le persone non sono quello che sembrano” è una frase che ritorna spesso, seguita da dimostrazione pratica.

Infatti i nove si scoprono circondati dai soldati di Kikui, sono in trappola.

Le loro farneticazioni e l’aggressività orgogliosa con cui si rivolgevano a Sanjuro devono sbollire, il ronin non esita a definirli stupidi, e dovrà farlo anche in seguito, anzi li prenderà perfino a schiaffi, e, costretto da comportamenti che gli mettono sempre il bastone fra le ruote, non esita a schiacciare il loro orgoglio temerario e inconcludente dicendo che la coraggiosa Koiso è un vero samurai, molto più affidabile di loro.

Nonostante tutto, però, non può non prenderli sotto la sua ala protettrice, è un generoso e l’etica del samurai è ciò che conta.

Sarà dunque il loro maestro di vita e di armi, salvandoli spesso dalla loro stessa irruenza, come nel primo agguato di Kikui, quando li protegge facendoli nascondere sotto le assi del pavimento e poi affrontando da solo l’intero corpo d’armata.

La sequenza delle nove teste che timidamente spuntano una alla volta fuori dal pavimento a pericolo superato è un capolavoro del comico, e momenti di divertita ironia sono distribuiti lungo tutto il film, abilmente mescolati ai duelli canonici in cui, al di là di ogni ragionevole possibilità umana, uno contro tutti Sanjuro riporta l’ordine a suon di katana. Ma quando sulla scena c’è l’eroe tutto è concesso e Yojimbo aveva fatto scuola (inevitabile pensare quanto deve a Kurosawa  Beat Takeshi, ogni volta che mette la katana in mano al suo Zatoichi o impugna la pistola contro stuoli di yakuza eliminandoli tutti).

Mifune è pienamente a suo agio in una parte che gli consente il dominio della scena, come in Yojimbo dà al personaggio giuste dosi di ironia e severità, prestanza fisica e forza espressiva, il doppio gioco rimane il suo forte ma stavolta dimostrerà molta attenzione anche alla lezione di intelligenza e raffinatezza che viene da una donna.

Il maestro degli sprovveduti giovani samurai, infatti, dovrà anche lui imparare qualcosa, e  saranno le due donne del ciambellano (moglie e figlia) ad insegnarglielo, soprattutto la paffuta moglie, capace di inchinarsi a ringraziare e chiedere il permesso anche quando, per scalare un muro e salvarsi, deve servirsi della schiena del ronin come scaletta.

La sorridente delicatezza delle due figure femminili contrasta amabilmente con il rozzo ronin dalla barba incolta, e nel primo incontro dentro il fienile, dove sono state portate in salvo, Kurosawa indugia in un gioco di primi piani alternati, le teste delle donne con i loro volti candidi simmetricamente inclinati da un lato, Sanjuro immerso in un cono d’ombra, come a disagio, dall’altro.

Siamo vicini al fermo immagine, poi riprende, burbero, il dialogo, mentre le donne comunicano calma e serenità beandosi dell’odore del fieno e la testa del ronin sbuca in un angolo, perplessa.

Un gioiellino in tipico stile kurosawiano, questa scena, nell’imperversare della lotta, come la caduta di camelie bianche che scorrono nel ruscello gorgogliante, segnale convenuto per l’attacco.

Il clima dell’idillio bucolico e i toni della commedia si fondono, ma siamo sul set di uno Jidai Geki, e tornano a roteare katana, anche se nel bel mezzo di un giardino fiorito di piante di camelie bianche e rosse.

Il culmine arriva nelle parole della tranquilla signora: “Uccidere la gente è una brutta abitudine, sei troppo tagliente, questo è il tuo problema.Sei come una katana sguainata. Affilata, nuda, senza un fodero. Tagli a fondo, ma le katana buone stanno nel fodero”, dice sorridendo al ronin.

Sanjuro ricorderà queste parole davanti al cadavere dell’avversario, ora che lui ha imparato la lezione: “Era come me, una spada senza fodero. Aveva ragione la signora, le buone spade debbono rimanere nel fodero”.

Una condanna senza appello della violenza in un film in cui scorrono fiotti di sangue, il duello finale è di fulmineità impressionante, la katana di Sanjuro taglia di netto la giugulare a Muroto in un solo movimento, un fiotto di sangue costringe a chiudere gli occhi.

Quando li riapriamo non vediamo l’espressione trionfante del vincitore, Sanjuro aveva cercato di convincere Muroto a non combattere, non aveva senso che uno dei due dovesse morire, i nove piccoli samurai che l’hanno rincorso, e che ora  vorrebbero esultare, ricevono l’ultimo rimprovero del burbero samurai: “Sono di cattivo umore, non seguitemi o potrei uccidervi”.

Ora sì, il gruppetto dei nove, che si muovono sempre veloci e in perfetta sincronia in una coreografia sapientemente diretta, ha capito la lezione.

Inginocchiati a terra s’inchinano profondamente, mentre Sanjuro gira la schiena e si allontana, col suo tic alla spalla e il passo svelto, come Sanshiro, e chissà dove approderà stavolta?

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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