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La paura

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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La recensione su La paura

di Baliverna
8 stelle

Il marito ritorna a casa. La moglie deve scaricare l'amante e liberarsi di una ricattatrice senza scupoli. Bel guaio.

Poco noto ma sicuramente non degno di esserlo questo film di Rossellini. Il regista analizza una volta di più, come anche in "Viaggio in Italia", le dinamiche di una coppia in crisi. Qui parla di una donna terrorizzata dal fatto che il marito scopra la sua relazione adulterina, non perché voglia continuarla di nascosto, ma perché ha paura che l'amante non accetti di essere scaricato senza vendetta. Lei, infatti, ha deciso di troncare. Tuttavia il filo da torcere non glielo dà lui, ma la sua ex-ragazza, che era stata a sua volta da lui piantata. Sarà questa che comincerà perfidamente e sadicamente a ricattare la povera e angosciata protagonista, che non ha armi per liberarsi di lei. Come ogni ricattatore, non viene fermata da nessun riscatto, ma anzi solleticata nella sua avidità.
L'adulterio viene presentato come commesso non per vera passione, ma per noia, solitudine, e per l'abilità seduttiva di lui. Assente il marito per molto tempo, la donna diviene via via arrendevole e condiscendente, ma viene poi schiacciata dal senso di colpa non appena il consorte fa ritorno fra le mura domestiche. In un batter d'cchio si troverà in una morsa che la stritola senza pietà, e che non le lascia neanche tempo per pensare a come venirci fuori.
Il regista trova qui un registro per lui insolito, cioè quello della suspense, che scaturisce dal pericolo continuo e da un intreccio degno di un noir.
Rossellini fa uso di una struttura che ci aveva già mostrato nel già citato "Viaggio in Italia", cioè l'inserire nella trama episodi accessori che fungono da commento e da esplicitazione dell'interiorità dei personaggi. Si tratta cioè di situazioni che vengono colte da questi ultimi come un messaggio o una spiegazione della situazione ingarbugliata che stanno vivendo. Vale la pena di ricorda la sottotrama delle cavie da laboratorio farmaceutico, avvelenate da una sostanza e poi curate in extremis col farmaco sperimentato, oppure morte prima della sua somministrazione. L'altro episodio è quello del fucile giocattolo che la sorellina invidiosa ruba al fratello, la quale poi, messa alle strette, si rifiuta di confessare il furto. La compenetrazione tra questi episodi apparentemente casuali e l'interiorità della protagonista è gestita dal regista con sapienza ed equilibrio, sì da non scivolare nel didascalismo o nella metafora tagliata con l'acetta.
La pellicola ci tiene col fiato sospeso per quasi tutta la sua durata; solo alla fine presenta secondo me qualche smagliatura, cioè nel colpo di scena che all'improvviso si para davanti allo spettatore. La trovo infatti una soluzione narrativa un po' forzosa e non molto plausibile.
Ciò non fa del film un opera mediocre, ma ne intacca solo il risultato.

Ingrid Bergman è brava come sempre. Fu girato in Germania in tedesco, fatto che si arguisce anche da una traduzione dei dialoghi non sempre felice (ma i doppiatori sono di serie A).

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