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La paura

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La paura

di laulilla
8 stelle

Rossellini aveva girato il film – ispirato al racconto lungo “Angst”, dello scrittore viennese Stefen Zweig (1881- 1942) – con quello stesso titolo e in lingua tedesca, che la protagonista Ingrid Bergman conosceva benissimo.

 

In questa versione, doppiato nella nostra lingua, il film era arrivato in Italia, nel 1955 – col titolo Paura – e negli USA (1956) – col titolo internazionale Fear –


Era preceduto da un prologo documentaristico, eliminato subito negli USA e successivamente, nel 1958, tagliato anche in Italia, dove si cercò di ricuperare il mancato guadagno dopo la sua uscita fallimentare di tre anni prima. Nel nostro paese fu anche pesantemente rimaneggiato: gli fu affibbiato un altro titolo, ovvero Non credo all’amore; e ne fu modificato il finale.

La versione restaurata della Cineteca di Bologna (2012 ) restituendoci l’edizione del 1955, ha inizio con il concitato colloquio notturno fra Irene (Ingrid Bergman) – manager del laboratorio farmaceutico del marito – e il suo amante Erich (Kurt Kreuger).

 

I due si salutano, ma è un addio solo rinviato: lei – troppo stanca per il suo importante lavoro, oltre che turbata per l’oscuro disagio di sentirsi inadeguata come madre e come moglie – vorrebbe chiudere la loro storia.
Tra poco, il solito rientro in auto, le solite menzogne ad Alberto (Mathias Wieman), il marito scienziato che organizza e segue le dolorose e promettenti sperimentazioni sulle cavie.
Non andrà così, invece: c’è una sconosciuta ad attenderla all’uscita della sua autorimessa: si presenta come Giovanna Schultze (Renate Mannhardt) e sa molte cose di lei: sa che le ha portato via Erich che l’amava tanto; sa che non si era fatta scrupolo di tradire il marito trascurando i due figlioletti, affidati ai nonni; sa che ha molti soldi… Irene si sarebbe presto trovata al centro di una rete di strani e pesanti ricatti: avrebbe voluto vederci chiaro e avrebbe scoperto l’amarissima verità, rendendo vana la sua segreta speranza di ricomporre presto l’unità familiare.
Evito, a questo punto, ogni ulteriore spoiler.

 

Il film è condotto come un tesissimo thriller dal regista, che, affidando completamente alla prodigiosa e sfumata interpretazione della Bergman la plausibilità di una storia che ha aspetti paradossali e  incredibili, vince – secondo me – la scommessa di trasferire nel mondo “libero” occidentale il tema del tradimento coniugale, e si chiede come e quanto la libertà sia compatibile col rispetto delle scelte – anche femminili – e con l’ossessione religiosa del peccato e della colpa.


A questo scopo, sono davvero importantissime e vanno viste con attenzione le scene della partenza dei due coniugi per la campagna, preceduta dalla scelta dei regali per i due figlioletti che accontenta – per esplicita volontà di Alberto – solo il maschietto, spingendo la piccola indispettita a ribellarsi, sia nascondendo il regalo che avrebbe voluto anche lei, sia col rifiuto di rivelare, umiliandosi, la propria “colpa”. 

Rossellini indaga non tanto sul peccato e sulla colpa, quanto sugli effetti angosciosamente devastanti che il senso di colpa e la necessità di espiare il peccato provoca nella carne viva delle persone: “Rossellini filma rapporti (e in questo i suoi film sono oggetti morali)” aveva detto André Bazin-



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