Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Di fronte all'avvilente aeroporto di Pucallpa si trova un'osteria, dove c'è una scimmia meravigliosa, nera, con arti lunghi a non finire. Ha un'aria molto sveglia e davvero dovrebbe essere l'animale di compagnia di Fitz. Un ubriaco le ha sputato addosso e per poco non l'ha centrata sulla schiena. La scimmia ha esaminato e annusato attentamente lo sputo che giaceva a terra, uscito dalle profondità di un polmone malato, di un verde giallognolo, ancora fumante. Sembrava che intendesse mangiare la saliva, o almeno assaggiarla. Le ho detto in silenzio: lasciala stare, lasciala stare, e lei l'ha lasciata stare. Adesso si è seduta e ha arrotolato la coda intorno alla base del sedere, come una gomena, le ginocchia sotto il mento, cinte con le zampe anteriori. Se ne sta seduta così, incatenata, sui rami dell'albero. Mi sono accorto che anch'io, i piedi sollevati sulla traversa di un'altra sedia, mi ero portato le ginocchia sotto il mento proprio allo stesso modo. La scimmia sogna i miei stessi sogni lassù tra le foglie sopra di me? Ho ordinato una birra e la mia voce aveva un suono diverso, come la voce di un pappagallo che imita le arie dell'opera. Il sole è tramontato fiammeggiando furiosamente. Per un attimo, e per l'unica volta che mi ricordi, la Terra mi è apparsa materna, ricoperta da una giungla putrescente che si faceva umile e dimessa. Una grossa falena marrone si è conficcata nel liscio pavimento di calcestruzzo come volesse penetrare nella crosta terrestre, e sbatteva le ali con tanto impeto che quel rumore sordo accompagnava il crepitio elettrico e lo scricchiolio del neon morente come una sinfonia che risuonasse dalle viscere di un cosmo orripilante, un cosmo che si era preparato per l'ultimo raccolto.
[da Werner Herzog - La conquista dell'inutile]
Il barone irlandese Brian Sweeney Fitzgerald (Klaus Kinski), chiamato Fitzcarraldo dai peruviani, industriale del ghiaccio e del caucciù dei primi del Novecento e amante appassionato della musica lirica, ha un sogno: costruire ad Iquitos, la città in cui vive nel cuore della giungla amazzonica peruviana, un imponente teatro dell'opera per invitarvi Enrico Caruso a cantare. Anche Werner H. Stipetic, alias Werner Herzog (ossia "duca"), tedesco di Monaco di Baviera, regista altrettanto inquieto, visionario e megalomane del suo "eroe", ha un sogno (perchè "chi sogna può muovere le montagne"): girare un film in cui il racconto di una folle impresa titanica venga trasfigurata metaforicamente nella disperata realizzazione del film stesso. Fitzcarraldo ha pochi soldi a disposizione per avviare il suo progetto e per convincere qualche industriale del luogo a finanziarlo è disposto a tutto: verrà in suo soccorso l'amata Molly (Claudia Cardinale), che, grazie ai proventi del bordello da lei gestito, accetta di affidargli il denaro necessario per coronare il suo sogno (dopo aver fallito anche nell'opera di convincimento di un facoltoso mercante di caucciù, che in cambio avrebbe ricevuto lo sfruttamento di zone altrimenti inesplorate ed impervie della foresta). Anche Herzog non ha denaro sufficiente per imbarcarsi nell'impresa: le case di produzione si tirano indietro spaventate dalle deliranti pretese del regista e solo l'aiuto finanziario del fratello Lucki, unito a tutti i propri averi, gli consentirà di partire finalmente per l'Amazzonia. Sia Fitzcarraldo che Herzog vengono apostrofati come fossero due pazzi: il primo perchè, per evitare le rapide del fiume, è deciso a risalire un corso d'acqua parallelo e poi a trascinare il suo battello sulla montagna che separa i due fiumi, oltrepassando il punto "infestato" dalle rapide. Il secondo perchè ha l'idea ancor più folle di filmare veramente l'impresa: niente modellini, niente effetti speciali, soltanto il desiderio di catturare con la macchina da presa (concedendosi solo l'ininfluente aiuto di un bulldozer) il tripudio di argani, carrucole, corde, binari, impalcature e sforzi sovrumani per issare la nave sulla montagna e trascinarla a riva dal lato opposto. Fitzcarraldo, ambizioso e risoluto, monta un grammofono sul battello e diffonde la voce di Caruso nei recessi più tenebrosi della giungla, attraversa il fiume, perde l'intero equipaggio spaventato a morte dall'impresa, piega al suo volere i sanguinari indios tagliatori di teste, che lo scambiano per una divinità, facendosi aiutare a trascinare la nave sulla montagna: ma gli indios, inaspettamente e proprio dopo che l'impresa sembrava giungere al termine, fanno incagliare il battello sugli scogli, lasciandolo travolgere dalle rapide. Con la nave ormai irrimediabilmente danneggiata, Fitzcarraldo torna sui suoi passi: ma avrà la sua soddisfazione invitando sul battello la compagnia di Enrico Caruso per fargli eseguire I Puritani di Vincenzo Bellini durante il suo ritorno a casa. Oltre tre anni di lavorazione, quasi cinque milioni di dollari di spese e migliaia di difficoltà (da quelle logistiche affrontate dalla troupe nella giungla, alle tensioni con gli indios, dalle preoccupazioni per un imminente guerra tra Perù ed Ecuador ai capricci dei divi), senza contare i due morti e le decine di feriti che ne hanno funestato la lavorazione, un primo progetto affidato all'interpretazione di Jason Robards e Mick Jagger (e, prima ancora, proposto inutilmente anche a Jack Nicholson): ma Robards si ammala durante le riprese e rinuncia al progetto, mentre Jagger è costretto ad abbandonare il set per partire in tournee con i Rolling Stones. Herzog convoca immediatamente il "suo" Kinski e ricomincia da capo: distrugge quasi tutto il materiale girato fino a quel momento (poche tracce appaiono nello splendido documentario Burden of Dreams, girato da Les Blank durante la lavorazione del film), cancella alcuni personaggi, riscrive alcune sequenze, caccia definitivamente Mario Adorf (originariamente il capitano del battello, ruolo poi affidato a Paul Hittscher) perchè rifiutatosi di girare le scene sulle rapide e, con coraggio e un'ostinazione senza precedenti, confeziona uno dei suoi capolavori meno rigorosi ma di più folgorante suggestione spettacolare. Ammantato dai colori scintillanti della fotografia di Thomas Mauch, accompagnato in colonna sonora dai ritmi tribali dei Popol Vuh, dall'aria Bella figlia dell'amore dal terzo atto del Rigoletto di Verdi e da brani tratti dall'Ernani di Verdi (durante l'esibizione iniziale di Enrico Caruso al Teatro dell'Opera di Manaus, allestimento curato da Werner Schroeter con l'Orchestra Filarmonica Veneta) e da I puritani di Bellini, Fitzcarraldo, miglior regia ai Festival di Cannes e di San Sebastiàn, traduce l'amore ossessivo ed ossessionante per ogni forma d'arte nella lucida ed appassionata visionarietà dell'ispirazione, contrappuntando la viscerale e sanguigna vitalità della parabola esistenziale del suo protagonista con la maestosità mozzafiato della messinscena. Un'opera anche imperfetta (e non poteva essere altrimenti, visti i presupposti), specie se paragonata alle vette più cristalline del cinema di Herzog, ma di una limpidezza quasi abbagliante nella sua descrizione di un'utopia talmente sconsiderata da trasformarsi, nutrendosi di se stessa sequenza dopo sequenza, in uno dei più suggestivi e romantici trionfi del sogno sulla realtà che il cinema ricordi.
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