Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Herzog e le sue sfide oltre il limite riconosciuto dell’umano. Qui mette in scena una sontuosa opera che celebra il sogno di un folle, creando peraltro innumerevoli polemiche attorno alla realizzazione della pellicola (in primis lo sfruttamento reale degli indios attori), nonchè un cospicuo debito che comunque il successo del lavoro è andato a riappianare in breve tempo. Al di là delle tante difficoltà in fase di lavorazione, ciò che rimane oggi di Fitzcarraldo è un lunghissimo, interminabile ed elaborato racconto di un lunghissimo, interminabile ed elaborato progetto che corrisponde al sogno della vita di un uomo. Il sogno di Herzog e quello di Fitzcarraldo sostanzialmente combaciano: e così come il secondo trova difficoltà a fare intendere a chi gli sta attorno il valore del suo sogno e l’importanza di portarlo a termine, è altrettanto arduo comprendere cosa abbia spinto il regista tedesco a montare poco più di centocinquanta minuti (oltre due ore e mezzo, in pratica) di film, che principalmente consta di infinite cartoline dalle foreste incontaminate del Sudamerica. Una noia straziante: mica per caso, come la musica lirica. Astenersi i facili allo sbadiglio: lo svolgimento di questo lavoro ha lo stesso ritmo della (lunghissima, vogliamo ricordarlo?) scena del trascinamento della nave, un centimetro alla volta, attraverso l’aspra parete della montagna.
Inizio Novecento; un signorotto europeo ‘invade’ la foresta amazzonica con un manipolo di suoi uomini, ne assolda molti altri fra gli indios e punta alla realizzazione del più grande teatro del mondo proprio nel bel mezzo dell’Amazzonia. Pur di sentire il suo idolo Caruso in quella suggestiva cornice, costringe la sua ‘truppa’ a trascinare una grossa nave attraverso una montagna.
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